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Il nuovo indirizzo di questo blog è www.ucciellino.blogspot.com

Attenzione: Blogspot ha cambiato l'indirizzo (link) di ognuna delle pagine di questo blog, per cui i link che avete creato fino a tutto il 2009 quasi certamente non funzioneranno.

(24.06.10)

 A quel punto mi sono commosso davvero

(10.2.10)

 Un "Gloria" per quella bimba

Una extracomunitaria di pelle olivastra con una bimbetta tra le braccia. Un marito, o presunto tale, col quale sta discutendo.

Non capisco le parole di quella lingua che suona come il russo, ma deduco che parlano dei magri incassi della giornata.

La bimbetta serve solo come oggetto per suscitare commozione: l'ideale, in una società malata di buonismo. La madre-schiava raccoglie le offerte. Il padre-pappone, apparentemente più giovane di lei, sta seduto in disparte ad aspettare la consegna degli incassi, limitandosi fiaccamente a controllare da lontano.

A quella fermata scenderanno, e ripartiranno in direzione opposta. Avanti e indietro tutto il giorno: da mesi quel tratto è in esclusiva per loro, probabilmente assegnatogli da un capo-pappone.

La mamma-schiava alza la voce, ma per un po' il marito-pappone guarda altrove senza rispondere, neppure un monosillabo. Poi con un cenno della testa le comanda di riprendere il giro: la schiava non ha diritto di ribellarsi, e lo sa. La schiava si alza, cambia all'improvviso il tono, la sua voce ridiventa stancamente dolciastra e cantilenante: ha ripreso a chiedere soldi alle stesse persone sedute lì in fondo, me compreso.

Mi accorgo finalmente che la mascotte calamitasoldi non è un bambino ma una bambina: ha gli orecchini. Avrà pochi mesi e chissà quanti chilometri avrà già macinato.

Il controllore è lì a due metri, ma ci ignora, sembra non accorgersi che siamo lì. Non vuole perdere il posto. Teme di vedere il suo nome in prima pagina sul Corriere di domattina: “controllore sospeso per razzismo, molestava viaggiatori extracomunitari” (chiedendo, come da regolamento, di visionare il titolo di viaggio ed applicare le sanzioni previste in caso di irregolarità: ma oggi leggi e regolamenti non valgono per gli extracomunitari, neppure per quelli che fossero incapaci di rappresaglie; il politically correct serve solo ad opprimere gli onesti).

Mi accingo a scendere. Con lo sguardo incrocio per un'ultima volta quella bimbetta. Ho abbastanza rabbia per imprecare e per raccontare di lei sul blog, della sua futura vita da bestie, destinata a restare schiava fino alla morte, vivendo di accattonaggio per contentare una gerarchia di papponi. Di fronte a tanta miseria ho una sola arma, potentissima e silenziosissima.

Recito mentalmente un Gloria Patri per quella bimbetta. Per la vocazione di quella bimbetta, perché il contrario della schiavitù e della disumanità è la felicità risultante dal donarsi interamente a Cristo. Recitando lentamente, con decisione, come un orefice che ripara un prezioso orologio da polso, e la prima immagine che mi è venuta in mente era un velo nero, in un parlatorio, forse di clausura benedettina. Chissà.

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(23.1.10)

 Per gli auguri di un Buon Natale




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(23.12.09)

 Per gli auguri di un Buon Natale




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(21.12.09)

 Gli Utili Idioti della Morale dei Barbari

Perdendo la fede si perde anche la morale. Che prima viene compressa in un galateo perbenista e poi esplode in una barbarie nichilista.

Ma ciò che oggi mi lascia più perplesso sono i laudatori della nuova morale. Di quelli che non praticano la sodomia, ma la elogiano: “che c'è di male?” Di quelli che non proferiscono bestemmia, ma la presentano come normalità: “che c'è di male?” Di quelli che non uccidono bambini, ma difendono con le unghie e coi denti il “diritto” di farlo... (tanto per fare i soliti primi tre esempi che vengono in mente).

Insomma, di quelli che in vita loro non hanno mai commesso un determinato tipo di peccati - e magari non ne troveranno mai il coraggio di farlo - però scrivono prestigiosi articoli su più o meno prestigiose riviste per difendere il diritto a commetterli.

Sono gli utili idioti della nuova barbarie.

E si riconoscono perché sono terribilmente permalosi, infinitamente suscettibili, assurdamente inclini all'indignazione contro chi non è pienamente d'accordo con le loro stupidaggini - ereditate, tanto per cambiare, dal Potere, ossia dal principe di questo mondo.

Costoro, il giorno del giudizio, tenteranno di scolparsi: ma quando mai, o Signore, ti abbiamo ucciso? Quando mai abbiamo bestemmiato il tuo nome?

E si adireranno contro il Signore, urlandogli: ma Signore, te la sei presa per così poco? Con la fame nel mondo, con le guerre che si vedevano in TV, e tu te la prendi perché ti abbiamo mancato di rispetto?

Ma noi mica ci sentivamo delle bestie! Per quelle piccolezze, poi! E che saranno mai state? Ma insomma, Signore! Te la prendi per così poco? Vuoi proprio farci la predica, come quelli che ci perseguitavano con le loro prediche perché eravamo meno rubricisti di loro?

Ma insomma, basta, Signore, non ti vergogni? Ma veramente ti sei infuriato per quella statua? Ma non capisci niente di arte? Ma come ti permetti, o Signore, di farci la morale? Ma chi credi di essere?

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(20.12.09)

 Per gli auguri di un Buon Natale




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(19.12.09)

 Clandestino Zoom

Intelligenti pauca. Cito qui un paio di deliziosi interventi dalla newsletter di clanDestino Zoom (della rivista clanDestino).

La notizia da non tacere

A Natale si parli del natale.
Questa è una piccola regola semplice, per irrobustire i cervelli e le anime, se uno ce l'ha ancora desta e non in stato comatoso. Perché a Natale quasi nessuno parla del Natale.
Lo fanno un po' i preti in chiesa, ma spesso viene da augurarsi che non lo facciano, ché forse è meglio. Ma insomma, meglio di niente.
Si parli del Natale, a Natale, magari bevendo qualcosa, o mangiando tra amici e parenti. Si parli di lui, di Gesù. Come se si parlasse di calcio. O di cinema.
O meglio, no, non proprio come se si parlasse di calcio o di cinema: ma come se si parlasse di ciò che fa bello il calcio e bello il cinema. Di ciò che dà gusto all'esser qui e ora.
Perché senza il Natale, la vita dove siamo sarebbe solo “un piccolo naviglio di tristezza che solca l'oscurità dell'autunno in questo silenzio velato” come ha scritto un forte scrittore irlandese, John Banville.
Invece no, la vita non è più “un piccolo naviglio di tristezza”. La notizia non è una notizia fatta di parole, o di pensieri. E' una notizia di carne e ossa, una notizia presente.
Senza Gesù, Natale potrebbe essere la festa più triste del mondo, e per molti lo è. Si parli di lui, dunque, nella sua festa. Si parli di lui, del capitano che ha invertito la rotta del piccolo naviglio.
Ed a proposito dell'argomento di cui si parla sempre:
Il problema non è lui

L'Italia è al 157° posto come livello della qualità della macchina della giustizia nel mondo. All'incirca come Gabon e Zambia.
Il problema non è il processo a Berlusconi, ma tutti gli altri processi. Che sono lenti, procrastinati da avvocati e giudici, da norme che da un lato garantiscono l'imputato (come ad es. i tre gradi di giudizio etc) ma dall'altro ledono la parte offesa e la speranza del riconoscimento di diritti. Questo è il problema della giustizia in Italia.
Berlusconi vada al processo e se riesce si faccia assolvere. Se lo condanneranno lasci i pubblici uffici e la coalizione che lo ha voluto come presidente del Consiglio indichi a Napolitano un altro premier a cui affidare il governo per il resto della legislatura. Se Berlusconi - attenendosi alla legge che gli permette di avanzare legittimi impedimenti legati all'attività di governo - riesce a evitare il processo durante la durata che gli resta di premierato, ok, se la vedrà dopo.
Ma la si pianti di dire che il problema della giustizia in Italia è il signor Berlusconi. Il problema è e riguarda tutti gli altri. Non metterci mano o metterci mano male è un delitto non per una parte politica ma per l'intera classe dirigente, maggioranza o opposizione che sia.
Leggo poi da Fides et Forma la notizia riguardante quei “padri” contro i quali trattengo a stento le più sentite maledizioni e le amarissime considerazioni sul fatto che i nemici più viscidi della santa Chiesa sono al suo interno. Quella statua - coincidenza agghiacciante - sembra proprio la statua della maternità nel romanzo Il padrone del mondo di Benson. Intelligenti pauca.

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(18.12.09)

 Per gli auguri di un Buon Natale




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(17.12.09)

 Per gli auguri di un Buon Natale




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(15.12.09)

 Falsa pietà (bastò un solo indizio)

(Questa truce pagina si può seguire meglio se in sottofondo c'è “Think About You” dei Guns'n'Roses)

Da bambino fui portato ad un pellegrinaggio organizzato, di quelli che vien riempito un vecchio autobus - per lo più di pie vecchine della parrocchia - e si va a Messa in qualche santuario. Dopo la Messa (eventualmente preceduta e seguita da altri esercizi di pietà), tempo libero per lo shopping turistico e la merenda; infine rientro a casa in tarda sera.

Ero bambino, ero ingenuo. “Andiamo lì, che lì la Madonna è tanto buona”, disse la vecchietta, mentre mia nonna assentiva. Restai a bocca aperta, pensando: perché? Qui è meno buona che lì?

“Andiamo lì, che la Madonna ci farà la grazia di...” Seguì elenco di richieste molto mondane. Perciò mi sentii autorizzato a domandare, come grazia, che i miei si convincessero a comprarmi un bel computer, o almeno un videogioco onorevole.

All'andata, in autobus, i più gareggiavano a chi ostentava il più esasperato devozionismo. Mi ero portato, nella sacca della merenda, un numero di Topolino, ma avevo il terrore di tirarlo fuori, temendo che una vecchietta formato “mamma di Hulk” venisse a strapparmelo dalle mani urlando (con faccione verde): “qui si pregaaa!”

Quando si iniziò il rosario, finalmente furono tutti impegnati, e così potei immergermi nella più gaudente e rilassata lettura di Topolino che si possa immaginare. Il microfono era stato agguantato dalla più agguerrita delle devozionaliste, che quindi inseriva in ogni anfratto preghiere, sottopreghiere, giaculatorie, supergiaculatorie, invocazioni, clausole e pie meditazioni personali. Queste ultime, in modo particolare, furono inflitte nonostante le occhiatacce di alcuni, già seccati per quel rosario detto a velocità di moviola (le persone normali lo recitano in 15-20 minuti, lì sembrava che dovesse durare per tutte le ore del viaggio).

Giunti a destinazione ci fu una fastidiosa serie di devozioni. Fu fastidiosa non per il loro contenuto (chi mai deprecherebbe una Via Crucis?) ma per le condizioni in cui furono svolte: sembravano proprio organizzate in modo da farcele odiare (questo è in fin dei conti uno dei frutti marci del cosiddetto “spirito del Concilio”: aver trasformato la pietas popolare in spettacolino condotto dai più facinorosi, sempre a caccia di un palcoscenico dove farsi notare e da cui infliggere una soffocante bigotteria a coloro che non hanno abbastanza forza di mandarli via).

Di quella via Crucis ricordo le “stazioni”, artisticamente orrende, costate un patrimonio (patrimonio fatto dei soldi dei fedeli). Ricordo di aver raramente visto rappresentazioni così brutte di Gesù. Pareva che l'artista odiasse dal profondo del cuore Nostro Signore.

Ci fu poi l'assalto ai confessionali. Ero piccolo ed ingenuo e perciò ebbi la malsana idea di cedere il mio posto nella fila alla signora Hulk, la vecchina che aveva inondato delle sue pie meditazioni l'interminabile rosario in autobus (ciò che mi aveva permesso di godermi quel numero di Topolino da cima a fondo). La vecchina si trattenne in confessionale per un tempo spropositato, forse un'ora, ed uscì da lì con un volto che tutto era fuorché quello sereno di chi si è liberato dei propri peccati.

Naturalmente fui costretto ad aspettare mia nonna e perciò giungemmo in santuario ad omelia già inoltrata.

Colmo della sfortuna, il predicatore quella sera era particolarmente loquace ed ogni volta che sembrava che stesse per trovare la via per finire, subito apriva un nuovo argomento. Ero piccolo ed ingenuo, e mi domandavo come mai ci fosse tanto bisogno di parlar tanto della pace nel mondo proprio a noi cristiani, che la pace la vogliamo sul serio. Era come predicare a degli interisti che il mondo è nerazzurro, e che il calcio è bello solo perché c'è l'Inter. Per di più pareva che accusasse noi, noi cristiani - me bambino e nonnetta vecchina - di non fare abbastanza per la Pace (e i cattivi signori che vendono armi a gente che le useranno contro i propri fratelli, allora? noi che possiamo farci?)

Dopo la predica riuscimmo a sederci ma... dovemmo di nuovo alzarci in piedi per il Credo, e dopo il credo caddi seduto dalla stanchezza e dai piedi che vedevano le stelle, e invece la nonna restò in piedi perché le Preghiere dei Fedeli vanno acclamate in tale postura. Essendo un'occasione particolare, ognuna delle vecchiette in fila per imporre la propria “preghiera dei fedeli” pensò bene di trasformarla in un supplemento di predica. Mi meravigliò di come il celebrante apprezzasse tutto questo diluvio di chiacchiere sconnesse, e mi sentivo in colpa per essere lì ad acclamare comodamente seduto.

Ma quel che più straziava il mio cuore era vedere quel bellissimo santuario, imbottito di arte in ogni centimetro quadrato, dar spazio a quelle trite banalità, a quel nauseante buonismo, a quell'autocelebrarsi degli autonominati protagonisti della liturgia.

Forse quello fu uno dei rari momenti della mia gioventù in cui stavo seriamente per perdere la fede. Ero piccolo ed ingenuo, ma già potevo pensare: se questa noia è “fede”, tanto vale star lontani dalla Chiesa.

Il paradosso - ciò che in quel caso mi salvò dal tirare una simile conclusione - fu in ciò che vidi dopo la Messa e soprattutto durante il ritorno in autobus. Le vecchine super-protagoniste persero la loro compostezza da militanti naziste e la loro soffocante “pietas alla moviola” per trasformarsi nell'esatto contrario. In autobus raccontarono al microfono barzellette un po' “sporche” o al limite del blasfemo. La cosa mi irritò tantissimo, avrei voluto gridare “e basta!”, ma ero ancora un bambino, piccolo ed ingenuo, e mi chiusi in me stesso pensando ancora al computer e al videogioco (non arriverà né l'uno né l'altro, ma almeno avevo pregato con sincerità).

Quello che doveva essere il colpo di grazia per la mia anima si risolse invece nel suo contrario.

In teoria avrei dovuto gridare a me stesso: se questa “noia” è “fede”, allora non ne voglio più sapere.

Invece -e fu questa la grazia che mi era stata concessa- fu come se avessi gridato: se quelle si comportano così, allora vuol dire che la “fede” non ce l'hanno! Tutta messinscena!

Il che è perfettamente ragionevole. Nel primo caso, si parte da un pregiudizio: pensando che quelle vecchiette conoscano davvero la fede, si finisce per giudicare la fede in base a ciò che loro fanno. Si confonde la fede col comportamento di determinate “fedeli”.

Nel secondo caso, invece, si parte da un criterio oggettivo: esistono tanti modi di vivere la fede, e quello delle vecchiette mostra incompatibilità con la fede stessa. Pertanto ad essere sbagliata non è la fede, ma il loro comportamento di “fedeli”.

Era bastato un solo indizio per capire tutto l'inganno.

Temo che altri -molti altri- siano invece caduti nel tranello, pensando che la “fede” sia quella che ostentano coloro che cercano di apparire cristiani.

Nota conclusiva. Molti anni dopo, trovandomi con altri ciellini in autobus per andare agli esercizi spirituali, mi accorgerò che la gente del movimento è più sana. Non avevo più con me Topolino, ma se lo avessi avuto non avrei avuto da temere nessuna “mamma dell'incredibile Hulk”. Qualcuno, sommessamente, recitava il rosario; qualcun altro chiacchierava; nessuno disturbava. Viaggi piacevoli con gente sana. E di fede. Il torto subìto da bambino veniva ampiamente ripagato.

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(11.12.09)

 Volucres pennatae



Ci sono gli ucciellacci (nome scientifico: volucres pennatae) e gli ucciellini (nome scientifico: volucres spennatae) e naturalmente io sono uno di questi ultimi.

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(8.12.09)

 Nun Run!

Kirstine, nel 2007, fece il “Nun-Run” con un nutrito gruppo di amiche.

Non saprei tradurre esattamente il termine “nun-run”. In USA indica generalmente “corsa delle suore” (suore che fanno una mini maratona a scopo benefico, se non addirittura gente che corre con un travestimento da suora), ma non è il suo caso.

Quel suo Nun Run (“suora-corri”?) consiste nel prendersi alcune settimane di vacanza per andare a far visita a diversi conventi e monasteri femminili (due o tre giorni in ognuno) per vedere di persona che tipo di vita fanno e farsi un'idea della vita religiosa. E magari anche indagare discretamente (proprio perché si è in gruppo piuttosto che da sole, si può comodamente domandare senza stare al centro dell'attenzione) se in uno di tali ordini religiosi ci si potrebbe passare la vita intera.

Così è stato per Kirstine, che nel suo nun run del 2007 visitò una casa di Passioniste di clausura nel Kentucky e nell'agosto 2009 è entrata da loro.



Commovente la storia della sua conversione (che ho tradotto qui).

Nel loro blog (delizioso, per chi sa leggere l'inglese) ci sono altre foto. All'ultimo nun-run, è andata via la luce e si è fatto un po' buio. Al che le suore hanno approfittato per scherzare con le giovani universitarie in visita: qui quando manca la corrente si bloccano automaticamente tutte le porte... non potete più uscire... dovete restare qui! suor Mary Veronica, suor Rose Marie e Kirstine vi cuciranno gli abiti da suora su misura! (poi, però, hanno partecipato “soltanto” ad un'ora di adorazione eucaristica).

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(6.12.09)

 Il potere delle immagini

Cosa sia il “potere delle immagini” l'ho capito molto tardi, a undici anni di età.

Fu poco prima di Natale. Un parente era venuto a farci visita. Nel congedarsi mi disse: “vuoi venire a sciare a gennaio?”

Oggi so che lo fece per captatio benevolentiae, una frase ipocrita buttata lì per farso bello agli occhi dei miei (ai quali, pochi minuti prima, aveva chiesto un grosso favore).

Quel suo domandare “vuoi venire a sciare?” era perciò come il pallone da calcio disegnato sulla confezione di patatine, che scalda il cuore e propizia l'acquisto. Poco importa che ci sia da vincere un pallone ogni venticinquemila confezioni vendute.

Non ero mai stato a sciare e diffidavo di quel parente, ma non bastò. Quando la parola sciare attraversò le mie orecchie (sortendo lo stesso effetto dell'Incompiuta di Schubert), restai a bocca aperta, immaginandomi lanciato in velocità in una distesa di neve sotto un limpido cielo azzurro.

Tornai alla realtà quando avvertii la chiusura della porta di casa. Certe parole, almeno la prima volta che le sentiamo, evocano immagini a cui non sappiamo sottrarci.

Per diversi giorni mi arrovellai sul non aver avuto la prontezza di rispondere sì a quella domanda, sperando di ricevere di nuovo quella proposta, sperando che si ricordasse, sperando, sperando, sperando... aggrappandomi a quelle immagini che rivedevo davanti ai miei occhi: neve, sci, nevicata, sciare, distesa di neve... (dunque non era uno sperare, ma era un sognare!)

Il sogno era tale da vincere la diffidenza: ero pronto a riconoscerlo come mio benefattore, nelle mie fantasie già elogiavo le sue qualità davanti ai parenti che lo detestavano anche più di me ricordando incidentalmente quanto era stato bello sciare con lui.

Continuavo a fantasticare di neve e di sci, nonostante i miei mi avessero più volte detto di smetterla di pensarci, perché lo zio promette per non mantenere, perché se fosse stata una proposta seria avrebbe almeno telefonato per assicurarsi che avevo l'attrezzatura da neve (se fossimo stati un po' più ricchi, certamente l'avrei comprata). Passavano i giorni, lo zio latitava, e le fantasie cominciavano a cedere il posto alla sensazione dell'essere stato buggerato.

Le fantasie terminarono col ritorno a scuola. Fui perfino costretto ad inventare una miserabile scusa per dire a qualche compagno di scuola che non ero potuto andare a sciare come gli avevo solennemente preannunciato prima di Natale.

C'era stata l'epoca in cui diffidavo di quel parente. C'era stata la breve pausa di una grandiosa aspettativa (un'immagine, un sogno qualificato erroneamente come speranza), aspettativa creata dalla sua ipocrisia e dalla sua leggerezza. E ci fu poi il periodo del disprezzo (nei primi tempi fu vero odio), che perdura ancora oggi.

Il potere delle immagini: un'immagine può cambiarti la vita (non nel senso buono che vorresti). Inseguire un'immagine, vivere in nome di un sogno, cioè seguire un'illusione, dedicarsi ad un'illusione, deificare un'illusione.

Sto parlando di immagini, di sogni: non di “progetti” (qui voglio chiamarli “progetti”), come quello di Cristoforo Colombo che parte alla volta dell'America sulla base di ragionamenti, certezze, esperienze, insegnamenti, congetture in qualche modo fondate.

Un “progetto” può riuscire o può fallire, ma un sogno fallisce sempre. Come diceva Cesare Pavese, c'è una sola cosa peggiore del non realizzare i propri desideri, ed è quella di riuscire a realizzarli.

Ciò che veramente si può definire speranza si può fondare solo su una certezza presente. Tutto il resto è solo sogno, cioè illusione.

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(4.12.09)

 Caro ciellino ti scrivo...

Caro Ciellino,

innanzitutto i miei più vivi complimenti per il tuo blog. Interessante, intelligente, ben scritto. L'ho visitato per la prima volta mesi fa, stavo cercando in rete informazioni sul movimento.

Ho sempre sentito parlare di CL con ostilità, ma è proprio ciò che ha suscitato in me un estremo interesse. Penso che l'accanirsi da parte di una pluralità di individui contro un comune nemico celi una profonda insoddisfazione di se stessi. Nella maggior parte dei casi si odia qualcosa perché l'oggetto del nostro odio possiede qualità tali da ricordarci quanto siamo imperfetti, poiché in noi quelle qualità mancano. Questa regola è applicabile anche al caso di CL: è criticata da chi, consapevolmente o meno, ne riconosce il valore. Poi c'è una buona fetta di soggetti (i peggiori a mio avviso) che parla male di CL solo perché ne ha a sua volta sentito parlar male. Ignoranza mista ad arroganza...

Fatto sta che tutte queste voci, leggende e stranezze su CL hanno mosso in me una certa curiosità.

Non ho mai conosciuto di persona un ciellino. Ti sembrerà strano, ma è così. Abito in un paesino sperduto e non ho studiato a Milano. Nella mia facoltà non c'erano ciellini, o meglio, nessuno ha mai dichiarato di esserlo. I miei amici guardano ai ciellini con un disprezzo troppo marcato e infantile per essere giustificato. Ma loro non sono nemmeno cattolici... e una volta non lo ero neppure io.

Non so se ti possa interessare la mia storia. Per farla breve, la dinamica è la più consueta: con la Cresima si chiude il capitolo religioso della propria vita, basta messa, basta catechismo, basta preghiere. Si pensa di poter camminare con le proprie gambe, di non avere più bisogno di un Padre. Infine, una volta provato tutto ciò che la vita terrena ha da offrire, ci si accorge di essere stati imbrogliati, ci si guarda dentro e non si vede altro che marciume. A quel punto le strade sono due: o, capendo di avere sbagliato tutto e sentendosi profondamente infelici, si decide di farla finita, o ci si aggrappa a quella roccia che, mentre noi ci lasciavamo trascinare ovunque da ogni corrente, è sempre stata lì fissa in mezzo al mare. Io ho avuto la grazia di optare per la seconda alternativa.

Spero di non averti annoiato o infastidito, il fatto è che negli ambienti in cui mi trovo è raro incontrare qualcuno che capisca il mio punto di vista. Per darti un'idea, la vita che conduco ora è considerata inconcepibile dalla quasi totalità delle persone con cui ho a che fare: è inconcepibile svegliarsi la domenica mattina per andare a messa, ancora più inconcepibile andare a messa quando si è in vacanza; la Bibbia e tutte le letture a carattere religioso sono reputate sterili, puerili o, comunque, tediose; per non parlare dell'abitudine di pregare, vista come pura follia. E questi sono solo alcuni tra gli innumerevoli esempi che potrei fare. Non dimentico, comunque, che la mia concezione dell'esistenza era in passato molto simile a quella di coloro che oggi critico, ma ora mi sento spesso come l'unica persona vedente circondata da ciechi. Mi sento come quel cieco a cui Gesù ha ridato la vista.

Ti chiederai cosa mi abbia spinto a scriverti... avevo bisogno di comunicare con qualcuno che comprendesse la lingua che parlo, intorno a me vedo solo stranieri che non capiscono ciò che dico e ogni tanto si nutre il desiderio di sentirsi a casa. La consapevolezza di scrivere a qualcuno che mi possa capire mi fa realmente sentire a casa e per questo ti ringrazio.

Sapere che esiste un movimento come CL rende viva in me la speranza: è commuovente scoprire che ci sono persone a cui non interessa soltanto la settimana a Sharm, il ponte dell'Immacolata (non per l'Immacolata, ma per il ponte) e via dicendo.

Ora non mi resta che scusarmi per il tempo che ti ho rubato e ringraziarti per avere letto tutta la mia lettera.Con amicizia e stima, ***



Caro Ciellino,

il luogo di lavoro è uno degli ambienti in cui effettivamente emergono gran parte delle divergenze in ambito religioso. È inevitabile domandarsi come sia possibile che a certe persone tanto istruite e preparate manchi quella chiave di volta che è la fede. Si suppone infatti che un individuo dotato di una certa intelligenza, prima o poi nella propria vita giunga a porsi i grandi quesiti dell'esistenza (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo) senza accontentarsi di rispondersi banalmente che siamo frutto del caso. D'altra parte è altrettanto stupefacente (e incoraggiante) come persone più anziane, che avranno a dir tanto la quinta elementare, si ritrovino ogni giorno per recitare il Santo Rosario con un tale fervore che ha qualcosa di realmente divino (“...hai nascosto queste cose hai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”).

Giusto per rimanere in tema vorrei raccontarti un simpatico aneddoto. Un giorno a pranzo si parlava del bambino di uno dei presenti che dovrà prossimamente fare la prima Comunione. Il genitore sconvolto e con visibile preoccupazione descrive l'entusiasmo per quell'evento da parte del bambino che aveva dichiarato di essere estremamente emozionato all'idea di ricevere il corpo di Gesù. Nella tavolata si diffonde subito la più goliardica ilarità con commenti del tipo: “Attento che prima o poi gli viene una crisi mistica!”. Io personalmente non ho potuto fare a meno di esternare la mia gioia per come un bambino di soli otto anni si accosti con tanta serietà (come è giusto che sia) a questo sacramento. Mi limitai a dire: “Dovresti essere fiero di avere un figlio così sensibile”. È un peccato che questo genitore non si renda conto della propria fortuna e che addirittura consideri la fede di suo figlio come una sorta di anomalia.

Perché è questo il problema di questi tempi. Ormai è lecito che un uomo diventi donna, che un uomo metta su famiglia con un altro uomo e altre simili bestialità, ma la cristianità, per non parlare della stima verso il Papa... no, quelli sono ottimi motivi per cui essere ghettizzati. Ora funziona così. A quanto pare il principio del politically correct è applicabile a tutti, fuorché ai cattolici.

Continuo ad affidare queste mie riflessioni alla Madonna e ciò mi dà un grande conforto perché lei saprà cosa farne. La fede implica la fiducia e quindi un abbandono totale che ci libera dai nostri tormenti.

Penso spesso che una maggiore conoscenza degli studi sulla Sindone possano smuovere qualche cuore troppo indurito. La Sindone è forse la testimonianza più autorevole del fatto che la Resurrezione non sia il lieto fine di una fiaba antica, ma un evento che ha effettivamente avuto luogo: “è più probabile il fatto che esca lo stesso numero al gioco della roulette per 52 volte consecutive, piuttosto che la Sindone non sia il lenzuolo funebre di Gesù di Nazareth”. Se non l'hai già letto, ti consiglio assolutamente “Indagine su Gesù” di Antonio Socci. Non solo per l'ultimo capitolo che tratta appunto splendidamente questo tema (e che sarebbe particolarmente indicato per gli atei convinti e i San Tommaso di turno), ma anche perché offre un'idea più concreta di chi fosse veramente quella figura tanto affascinante che ha lasciato un marchio indelebile nella storia e nelle nostre vite.

Un caro saluto e grazie, ***

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(30.11.09)

 Guardatevi bene dai catto-neo/teo-con

X è il sottoscritto “ciellino”.

Y è un kattoliko con la kappa, sempre con Il Giornale in bella vista, esperto di tutti i crimini del comunismo (in particolare Stalin e il PD), difensore della Destra (qualunque cosa ciò significhi), fustigatore dei cattolici sedicenti “adulti” (cioè cattocomunisti e affini) ma derisore dell'Estrema Destra (qualunque cosa ciò significhi), feroce avversario del comunislam (qualunque cosa sia vagamente associabile a quel termine) e del nazislamofascismo (qualunque cosa sia vagamente associabile a quel termine) e via “destreggiandosi”.

X: ...vengono affamati, rapinati, massacrati, bombardati con bombe al fosforo...
Y: ...ricordati che sono islamici... ricordati del loro modo di vedere le cose...
X: ...e questa è una “ragione”? Caro il mio stalinista...
Y: ...ah! Stalinista a me?
X: ...caro il mio stalinista, l'annientare una categoria di persone...
Y: ...stalinista a me? sei diventato cattocomunista?!
X: ...l'annientare un popolo solo per il suo “modo di vedere le cose” è esattamente l'opera di Stalin...
Y: lancia insulti irriferibili

Cristianisti, cioè quelli che riducono il cristianesimo a dei “contenuti” (culturali, morali, ecc.) da impugnare contro gli altri.

Pensano che l'affermazione del cristianesimo consista nella mera negazione di ciò che certi media indicano come l'anticristianesimo.

Una riduzione del cristianesimo, appunto. Riduzione ad un anti-qualcosa, appunto. Cristianisti, appunto.

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(26.11.09)

 Voler bene ai figli

«Non è mica così che si vuol bene. Guarda, il modo vero di voler bene è che, proprio quando questa tenerezza è intensa, vera e trascinante, umanamente trascinante, dovresti fare un passo indietro, guardarli e dire: “Che ne sarà di loro?”, perché, voler bene è capire che hanno un destino, che non sono tuoi, (sono tuoi e non sono tuoi), che hanno un destino e che è proprio guardando la drammaticità che il destino impone… che tu li rispetterai, gli vorrai bene, sarai disposto a fare tutto per loro, non ti farai ricattare dal fatto che ti obbediranno o no».

(don Giussani ad Enzo Piccinini)

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(23.11.09)

 Castità apparente

La tensione verso la virtù è pietra di scandalo per chiunque abbia un po' di farisaica ipocrisia nelle vene.

“Prostitute e peccatori vi precederanno nel Regno dei Cieli”: non tutti, certo, e non già per i loro peccati, ma per la loro capacità di rialzarsi.

Quel versetto sembra suggerire che non è importante quanto si pecca, non è importante quanto frequentemente si pecca, ma è importante la capacità di rialzarsi sempre da qualunque caduta (al punto che vi possono riuscire perfino alcuni elementi di quelle due rinomate categorie).

I farisei misurano i peccati, il Buon Ladrone osa chiedere. I farisei quantificano, giudicano, precisano, magari anche onestamente, anche teologicamente, anche puntigliosamente, e il Buon Ladrone invece osa domandare. Era al posto sbagliato (in croce) nel momento sbagliato (quando Gesù stesso è in croce) e, importuno, osa domandare.

Il Buon Ladrone è in paradiso, è il primo santo canonizzato da Nostro Signore in persona. I farisei stanno ancora contando i loro peccati, e mugugnando, e rimuginando pensosi e corrucciati, convinti che una scientificamente elaborata autoanalisi significhi automaticamente conversione del cuore (hanno sostituito l'esame di coscienza con l'autoanalisi, in modo da superare sempre l'esame).

Mi vengono queste riflessioni perché ho colto (sia pure con un iniziale certo fastidio: in fondo ho anch'io un po' di inquinamento fariseo dentro) qualcosa che non tornava nei miei conti. Una persona che lavora con me, di cui in qualche modo avverto la virtù (non una virtù in particolare, ma una tensione, un modo di essere, una forza: una virtù, appunto), mentre dal profondo del cuore non riesco a fare a meno di chiudere un occhio sulla sua non-virtù.

È come se mi trovassi davanti a qualcuno della stessa pasta del Buon Ladrone. Cioè qualcuno con un dramma dentro e una letizia negli occhi, qualcuno che pur di domandare “ricordati di me quando sarai nel Tuo Regno” mette da parte la lista dei propri peccati, trascura di scandalizzarsi di sé, tralascia di misurare col calibro elettronico i suoi peccatucci e peccatoni, perché quelle cose gli toglierebbero tempo prezioso per osare quella domanda.

Mi vien da pensare che i veri santi siano dei “disperati”, nel senso di pistoleri “disperati” da film spaghetti-western, cioè pronti a tutto, disposti ad ogni sacrificio, sapendo di trovar soddisfazione anche per una sola misera buona cosa. Gente che anela talmente da non aver troppo tempo per mugugnare e rimuginare pensosamente sui propri peccati.

Mendicare Cristo non è arte per gli imborghesiti, ma per quei “disperati”, sempre in tensione, sempre assetati, pronti a domandare a Chi può davvero rispondere, che non hanno tempo di star piegati su sé stessi a filosofeggiare sui propri peccati.

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(9.11.09)

 Appunti sull'ultimo film della San Carlo

Appunto qui alcuni motivi per cui il film Taipei - L'ultimo ponte andrebbe mostrato al mio parroco.

Sacerdoti che invitano giovani a prendere sul serio la propria vita, il proprio futuro. “Se il Signore ti chiama, sarà lui ad aiutarti”: detto da uno che ha già sperimentato questa cosa, non è una predica ma una sfida. Sacerdoti innanzitutto uomini, capaci di commuoversi più per le persone che incontrano - per la loro fede, per la loro storia - che per il risultato delle partite di calcio.

Fa un certo effetto vedere dei taiwanesi fare il segno della croce, mentre in parrocchia pare quasi un gesto per cacciar via le mosche. Fa un certo effetto sentirli capire che la fede non è cimentarsi pensosamente nella lettura della Bibbia tentando di cavarne le leggi da imparare a memoria, perché “la fede è quello che abbiamo imparato insieme”.

Quanti cristiani ci sono voluti perché nascesse Agostino? Perché nascesse Dante? Quei cristiani a Taiwan sono come un primo seme. Una vita intera a riflettere su quella possibilità: “se c'è un posto dove bisogna andare a far conoscere Cristo, è la Cina, perché quelli sono come noi, stanno aspettando la stessa cosa che conosciamo noi, ma nessuno glielo dice” (poi, invece che Cina, è stata Taiwan, ma queste sono quisquilie: quel popolo attende Cristo da seimila anni). Fino a riscoprirsi commossi nel fare la Comunione, perché finalmente qualcuno “glielo ha detto”, cioè glielo ha mostrato di persona, con la propria vita.

Interrogano i ragazzi della scuola “sulle grosse domande che interpellano sempre anche noi”. Cioè non sono andati a vendere un prodotto, non sono andati a riversare addosso ai taiwanesi qualche sterile fiume di parole, poiché quelle stesse domande “interpellano anche noi”.

E quella esperienza si propaga. Come quel giovane che testimoniando la sua fede non ripete un discorso, ma parla di cose “sue”, di cose che sta vivendo. Ed il don Paolo che avverte la “paternità”, perché quel suo “figlio” non è banalmente un suo “clone” ma è uno “generato alla fede”.

Il resto delle scene non le commento, perché sono tantissime le impressioni, talvolta in pochi fotogrammi (come qualche passante incuriosito da ciò che avviene nel cortile del “salone del Signore del Cielo”, come quella foto del giovane sacerdote col suo rettore e con i genitori, come i taiwanesi in ginocchio per il ringraziamento alla Comunione, come quella caffettiera espresso perché lì sono arrivati degli uomini con una storia, una vita...)

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(3.11.09)

 Gli aerei cadono. Dunque...

Sì, ma mi riferisco a quei casi in cui si abusa del concetto di “prevenire è meglio che curare”.

È un concetto adatto a certe situazioni (non puoi conservare un barilotto di polvere da sparo accanto al fornello della cucina; anzi, non ti conviene conservarlo in casa, neppure se in tutta la famiglia non c'è nemmeno un fumatore). Ma non è adatto in altre.

Con la scusa del prevenire si finisce spesso nei sillogismi degli ossessionati: “vuoi prendere l'aereo? Ma gli aerei cadono. Dunque...” Sottinteso: a Lisbona ci puoi andare, ma solo in bici.

“Ma gli aerei cadono?” Sì, non hai sentito la notizia al telegiornale? (non c'è settimana in cui non ci sia una notizia di aereo caduto; poco importa che come sicurezza sia secondo solo al treno).

Questo avviene dappertutto - non solo con gli aerei, ma con tantissime cose (l'esempio dell'aereo è il più facile da illustrare). Ed avviene specialmente sul posto di lavoro.

Le persone più intelligenti “prevengono” quella ossessiva “prevenzione” tacendo e sfumando, fino al limite dell'ipocrisia. Non hanno altra scelta, se si trovano a dover ubbidire ad uno più ignorante e stupido di loro che è giunto al posto di comando per tantissimi motivi tranne i meriti e le capacità.

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(1.11.09)

 Aprire un blog può essere educativo

A suo tempo avevo aperto questo blog per riversarvi pensieri, impressioni, lamentele. Scrivere costringe a riflettere. Dover esporre a persone precise qualche fatto o qualche impressione, ed il doverlo fare per iscritto e con onestà, e sapere che in futuro qualche sconosciuto potrà leggere e aver da ridire, costringe a riflettere.

Se fossi un maestro di novizi, un insegnante-tutore, un padre di figli, chiederei ad ognuno di tenere un blog e di dedicarvi dieci-quindici minuti al giorno. Senza foto, senza commenti, senza imbottire le colonne laterali di quadratini e giocattolini: tutte cose che fanno perdere tempo e che distraggono sia chi scrive, sia chi leggerà.

Tutti blog anonimi, ovviamente. Altrimenti un appunto qualsiasi verrebbe subito banalizzato: penserebbero che l'autore parla così perché sanno che ha tentato quella tal cosa senza riuscirvi, e poi ha già un lavoro e quindi non può capire, e poi abita pure in quella zona dove sono tutti disoccupati e delinquenti, e poi addirittura si chiama Selvaggio Trombetta (e con un nome così brutto dev'essere per forza uno che critica il mondo intero)...

Gli altri strumenti del web non vanno bene perché o richiedono una maggior fatica o sono dispersivi, banalizzanti, stupidi. Il blog può diventare uno strumento per riflettere, per migliorare nell'esprimersi, per osservare con più attenzione la realtà (altrimenti non si è capaci di descriverla).

La stessa forma tipica dei blog di oggi (con i commenti ed imbottiti di gadget) fa perdere tempo, diventa faticosa e pesante. Tenere un blog tematico, poi, è ancora più faticoso. Il social networking è dispersivo e banale. Anche il forum è sconsigliabile, sebbene dia la gradevole impressione di vedere tanta gente interessarsi di quel che ci si va a scrivere: è in realtà sempre dispersivo e spesso banalizzante per lo scarso rapporto tra segnale e rumore e per la sostanziale impossibilità di esprimere qualcosa che diverga dalle opinioni degli amministratori e moderatori.

Perché pubblicare sul web piuttosto che tenere un diario privato? Per dare modo a qualcuno - anche dopo anni, anche se cercava tutt'altro - di leggere quello che hai scritto. Perciò quello che scrivi deve essere ragionevole e interessante anche dopo anni: non deve essere un lista di reazioni. Commentare le notizie del giorno non è mai interessante (tranne alcune rare eccezioni, come nel giorno 11 settembre 2001).

Quello che scrivi deve essere ragionevolmente sintetico e completo. Devi esprimerti in italiano, evitando errori di grammatica, forme arcaiche o espressioni colloquiali. Anche la forma è importante - ed è importante evitare di scadere nel formalismo e nel manierismo. Qualche prezioso accorgimento, solo apparentemente secondario, eviterà di far scappare chi capita sulle tue pagine. Per esempio il separare i paragrafi piuttosto che pubblicare un monoblocco di testo che stanca solo a vederlo da lontano. Oppure l'evitare l'abuso di evidenziazione, di grassetto, di pezzi tutti in maiuscolo, di spazi prima della punteggiatura...

Non è importante che tratti degli argomenti più gettonati o che faccia autoanalisi profonde e complete. Non è neppure importante che sia un blog di successo e che abbia tanti visitatori e tanti complimenti. Paradossalmente, il blog che non cerca successo è quello che dà più soddisfazione all'autore (ed oltre al mio caso potrei indicarne molti altri).

Salvo giustificatissime eccezioni, non più di un post al giorno, per evitare di infilarsi nel circolo vizioso dei momenti (sporadici) di ispirazione, seppellendo il resto dell'anno sotto gli sbadigli. Anche due righe vanno bene, purché comunichino qualcosa che non scompaia nel fracasso mediatico dei giorni successivi. Scrivere bene è il risultato di un'abitudine già acquisita, non un'ispirazione improvvisa e infrequente.

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(27.10.09)

 Ti va di bere qualcosa?



È da un po' che non parlo di animali (forse perché sono troppo preso con le bestie della razza umana...)

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(26.10.09)

 Ma a che serve un altro blog cattolico?

Navigando in rete scopro oltre al bailamme anticattolico una miriade di siti web cattolici. A che mi serve dunque esternare su questo blog?

Questo blog non è la mia “missione”, ma è un mio strumento. Scrivere è rilassante. Costringe a riflettere. Fa migliorare nella maniera di comunicare. Fa raccogliere le idee, suggerisce discussioni, costringe a documentarsi. Induce ad essere onesti e precisi.

Tutto questo, naturalmente, avviene solo se si è cattolici (va bene anche se si è almeno un po' preoccupati di far figuracce di fronte alla verità).

Al contrario, i patetici siti web anticattolici - dove qualche figlio di papà tuona contro la fede, la famiglia, la morale, il buonsenso, pensando di essere originale nel ripetere le più retrive menate di altri - servono solo a dar fondo a tutto il malessere covato dentro. Col risultato, però, di non diventare mai interessanti, mai intelligenti, mai onesti. E di non perdere mai quel malessere.

Con o senza le indicazioni degli ultimi Papi, la presenza cattolica in rete sarebbe esplosa ugualmente. Se un demente qualsiasi può inneggiare alla libertà di sodomia, alla negazione della famiglia, all'affermazione dell'aborto e dell'eutanasia... allora si può utilizzare l'internet anche per fare qualcosa di diverso, per esempio parlare della propria fede, ragionare, descrivere.

Così come i laicisti finiscono per stereotipare i loro blog e siti web alla banale raccolta di articoli in tema (eventualmente con commenti riducibili a “sono d'accordo, purché si vada contro la Chiesa”), così il mondo dei blog e siti web e forum cattolici finisce talvolta per stereotiparsi alla raccolta di materiale cattolico, corrredato di giudizi prefabbricati su “notizie” prefabbricate, cuoricini, santini e amenità varie (in realtà ci sono anche eccellenti controesempi).

Ma è questo ciò che intendevano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?

«Anche se Internet non potrà mai sostituire quell’esperienza profonda di Dio che soltanto il vivere la vita liturgica e sacramentale della Chiesa può offrire, certamente offre un’integrazione e un sostegno unici per coloro che si preparano a incontrare Cristo nella comunità, sostenendo il nuovo credente nel momento iniziale del suo viaggio di fede»
(Giovanni Paolo II, XXXVI giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2002).

«Non abbiate paura delle nuove tecnologie! Esse sono “tra le cose meravigliose” - “inter mirifica” - che Dio ci ha messo a disposizione per scoprire, usare, far conoscere la verità, anche la verità sulla nostra dignità e sul nostro destino di figli suoi, eredi del suo Regno eterno. Non abbiate paura dell'opposizione del mondo! Gesù ci ha assicurato: “Io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). [...] Le nuove tecnologie, in particolare, creano ulteriori opportunità per una comunicazione intesa come servizio al governo pastorale e all'organizzazione dei molteplici compiti della comunità cristiana. Si pensi, ad esempio, a come internet non solo fornisca risorse per una maggiore informazione, ma abitui le persone ad una comunicazione interattiva. Molti cristiani stanno già utilizzando in modo creativo questo nuovo strumento, esplorandone le potenzialità nell'evangelizzazione, nell'educazione, nella comunicazione interna, nell'amministrazione e nel governo. Ma a fianco di internet vanno utilizzati altri nuovi media e verificate tutte le possibili valorizzazioni di strumenti tradizionali. Quotidiani e giornali, pubblicazioni di varia natura, televisioni e radio cattoliche rimangono molto utili in un panorama completo della comunicazione ecclesiale»
(Giovanni Paolo II, lettera apostolica “Il rapido sviluppo”).

«I nuovi media, telefonia e internet in particolare, stanno modificando il volto stesso della comunicazione e, forse, è questa un’occasione preziosa per ridisegnarlo, per rendere meglio visibili, come ebbe a dire il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, i lineamenti essenziali e irrinunciabili della verità sulla persona umana (cfr Lett. ap. Il rapido sviluppo, 10). [...] Invochiamo lo Spirito Santo, perché non manchino comunicatori coraggiosi e autentici testimoni della verità che, fedeli alla consegna di Cristo e appassionati del messaggio della fede, “sappiano farsi interpreti delle odierne istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli” (Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno Parabole mediatiche, 9 novembre 2002)»
(Benedetto XVI, giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2008).

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(24.10.09)

 Testimonianza di una sopravvissuta

“Salve, mi chiamo Brandi Lozier. Ho 25 anni e sono una vera sopravvissuta...”

La testimonianza della sopravvissuta all'aborto è qui.

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(23.10.09)

 Corso ultra-rapido per la cresima!

Il corso ultra-rapido per la cresima era già stato descritto nella pagina a questo link.

Qui sotto, rispondo ad uno dei commenti che mi è giunto in merito, sulla cresima, sui corsi di preparazione, sul battesimo ed altro.

È ovvio che lo scherzo da buontempone per il “corso veloce di cresima” si applica solo ai furbi che vogliono mercanteggiare sulla maniera di ricevere i sacramenti (solo a quella gente lì mi riferivo, e ho provato un insano piacere a prendere per il sedere uno di loro), e ovviamente non si applica per niente a chi invece è in un vero stato di necessità. Sempre con la perplessità su tale “stato di necessità”: di fronte al Signore, cosa giustificherà mai la fretta dovuta a sbadataggine?

Ti dirò di più: per una persona atea in punto di morte, bastano pochissimi minuti per far capire come stanno le cose della fede.

Anzi, pochissimi secondi: proprio come il buon ladrone morto in croce accanto a Gesù.

Ricordo un vecchio film sulla tragica impresa di Umberto Nobile al polo nord.

Mentre Nobile e i suoi avanzano a piedi sui ghiacci in condizioni disperate, uno del gruppo si accorge di non aver più forza per proseguire, cioè si accorge di essere spacciato.

Si sveste, resta nudo (per cedere le sue vesti ai compagni, perché soffrano meno il freddo), ha pochi secondi di vita prima di morire rapidamente assiderato (nudo tra i ghiacci e la tormenta).

Uno dei suoi compagni gli grida: “ma la neve in fondo in fondo è acqua... fatti battezzare! ti battezzo io!” (in condizioni gravi, perfino un ateo può amministrare validamente il battesimo, purché abbia “intenzione di fare quel che fa la Chiesa”, e ripeta i gesti essenziali del rito; questa è la dottrina cattolica, non è una mia opinione).

Quello spacciato e nudo tra i ghiacci insiste: “no, no, sono sempre stato ateo, no” (nessuno può essere battezzato “a forza”; se la sua volontà è rifiutare il battesimo, allora i gesti del sacramento, anche se fatti dal Papa stesso, non hanno effetto; anche questa è dottrina cattolica, non è una mia opinione).

Il suo compagno insiste ancora un poco, ma quello spacciato rifiuta ancora e si lascia morire tra i ghiacci.

Morto senza battesimo. In fin di vita ha avuto la possibilità di farsi battezzare, e ha scelto di rifiutare. Liberissimo di farlo.

Però, se sul significato della vita i cattolici hanno ragione e lui ha torto, allora gli è andata malissimo.

Mi spiego meglio: da “ateo”, non gli costava niente accettare; nel peggiore dei casi, sarebbe stato come avere qualche spruzzo d'acqua e delle parole di conforto. Tutto sulla fiducia (“fiducia”, “fidarsi”, “fides”): battesimo valido, perché non ha rifiutato la divina grazia, non l'ha ostacolata.

A uno che non crede che esista la vita eterna dopo la morte, non costa niente accettare un gesto del genere in punto di morte.

Al contrario, se il cattolicesimo è vero, allora l'aver accettato quel sacramento in punto di morte significa andare in paradiso per l'intera vita eterna.

Ecco il punto: o non ci perdi niente, oppure ci guadagni tutto.

Insomma, in punto di morte, accettare quel sacramento era come accettare di scegliere tra “o pareggi, o vinci”.

Invece no: lui non ha voluto il battesimo, cioè ha scelto di perdere.

Avrà pensato che è meglio una sconfitta sicura subito, che l'impossibilità (per dieci secondi) di prevedere un pareggio o una vittoria.

Poveraccio.

Per il battesimo di quell'ateo non c'era bisogno di un corso di catechesi.

Bastava che lui contasse sull'intenzione di chi lo battezzava.

Bastava che pensasse: “non capisco cos'è il battesimo, non conosco la dottrina cristiana, ma accetto questo gesto fatto in nome della Chiesa, assumendomene tutte le conseguenze”.

Tutto qui.

Quel gesto di fiducia avrebbe abbondantemente sopperito alla (temporanea) mancanza di conoscenza della dottrina.

Dopotutto, al buon ladrone crocifisso con Gesù, non viene mica chiesto un corso intero di preparazione alla fede.

Che ci interessi o no, Cristo ha stabilito la Chiesa perché continuasse la Sua opera.

Che ci piaccia o no, salvo motivatissime eccezioni, per mantenere l'ordine è bene che certe forme siano rispettate (come per l'appunto il “corso di preparazione alla cresima”). Fìdati, te lo dice un nemico giurato della burocrazia clericale, te lo dice un critico spietato delle Riunioni di Parrocchia.

Nella mentalità comune il prete è un banale emettitore di certificati. Anche tu lo consideri tale, visto che per la tua amica stai facendo tanto baccano.

Il battesimo del piccino è visto come una specie di registrazione all'anagrafe. La cresima è vista come una delle tante scocciature necessarie a sfoggiare l'abito da sposa in chiesa. La comunione è vista come un obbligo a cui deve sottostare chiunque partecipi alla Messa. Errori comunissimi, che sono davvero il fondamento di tanta inutile burocrazia ecclesiale.

Se dei sacramenti non te ne importa niente, non dovresti andare a caccia di certificati, non dovresti fare il giro di telefonate per sapere quale parrocchia ha il “corso” di durata più breve, non dovresti aver bisogno di inventare pietose scuse per strappare qualche mini-privilegio per scansarti il necessario ed evitare l'inevitabile.

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(15.10.09)

 Ragazzate

C'è una cosa di cui non avevo mai parlato sul blog per non farmi riconoscere. Adoro disegnare. Ma è qualcosa che tengo stretto per me. Ho una pila di fogli che ancora non ho distrutto.

Il mio sogno, da bambino, era di creare un numero completo di Dylan Dog: la solita storietta splatter che però lo lo costringe ad indagare. E a verificare, per una buona volta, la dottrina cattolica sugli angeli decaduti, sulla non onnipotenza delle forze del male, sul peccato originale.

Al termine dell'avventura Dylan Dog resta scettico, Groucho resta idiota come le sue battute, ma la sua bella cliente di turno scopre la fede. L'ultima vignetta, a tutta pagina, mostra Dog triste e con lo sguardo perso nel vuoto, mentre si domanda: “e se anche ci fossi riuscito, sarei forse stato felice? cos'è la felicità?”

Visto che sono ciellino (e me ne vanto) e pure interista (sebbene interista non praticante, ma me ne vanto lo stesso), immagino che mi si chiederebbe di infilare a tutti i costi qualcosa di ciellino nella storia. Ma quell'ultima domanda mi sembra più che sufficiente.

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(14.10.09)

 Inutile sposarsi...

Leggo sul sito web Papà separati Lombardia di una statistica di separazioni e divorzi fatta su dati Istat del 2003 (sei anni fa).

Ho le traveggole?

In alcune regioni d'Italia (Liguria e Valle d'Aosta) è inutile sposarsi: ogni 100 matrimoni celebrati ne falliscono 93.

Sì, il rapporto è al 93 per cento.

Per un attimo penso cinicamente agli adolescenti che imbrattano i muri con le loro promesse d'eterno amore (tanto più di quelli che ogni santo giorno s'innamorano perdutamente di una compagna di scuola diversa).

Oh, in Piemonte va molto meglio: è come se solo tre quarti dei matrimoni fallissero.

In Lombardia va ancor meglio: il numero dei fallimenti equivale a circa due terzi di quello dei matrimoni.

Media generale italiana: metà dei matrimoni falliscono.

E se sei anni fa quella media era stata piuttosto bassa (“metà falliscono”), lo fu grazie al contributo delle regioni del sud Italia: in Basilicata accanto ad ogni cento matrimoni si registrarono soltanto 18 separazioni/divorzi, in Calabria 22, in Campania il 23.

La media di separazioni e divorzi è purtroppo in continua salita. Tra poco, forse già adesso, ci troveremo in una società dove il numero dei divorzi supera quello dei matrimoni.

Ma allora -mi chiedo- che senso ha fare tanto baccano per sposarsi?

Cinicamente immagino una scenetta ad un pranzo di matrimonio. Gli invitati si sono appena seduti a tavola ed il padre della sposa e dello sposo si alzano in piedi e gridano insieme: “andatevene a casa! oggi non si mangia! meglio risparmiare questi soldi, giacché è al 93% probabile che questi due idioti in abito nuziale si separeranno!”

Dopotutto non c'è nulla da meravigliarsi: il matrimonio ridotto ad “atto amministrativo” è, in quanto tale, annullabile a piacere. Si è fatta largo una mentalità che è ormai impossibile da fermare. E quindi, anche quando ci si sposa in chiesa, ci si sposa pensando: tanto, qualora le cose andassero male, posso sempre rifarmi una vita (come se la felicità potesse scaturire solo dal separarsi).

Anche la Sacra Rota ha il suo bel da fare. Perfino quando si parla della Sacra Rota si usa il termine “annullare il matrimonio”, come se un sacramento fosse “annullabile”.

La Sacra Rota si limita a tentare di verificare se ci sono le condizioni minime per riconoscere giuridicamente la possibile nullità di un sacramento (cioè celebrato da almeno uno degli sposi con l'esplicita intenzione di non celebrare il sacramento cristiano del matrimonio).

Dato che i finti cristiani abbondano sempre di più, e dato che non è impossibile “produrre” prove apparentemente plausibili per un tribunale, la Sacra Rota ha il suo bel da fare.

Tra i miei conoscenti (ed anche entro certi rami di parentela) abbondano i divorziati, i sacrarotati, i separati, i concubini (oh, scusate, volevo dire conviventi)...

“E pensare che gli facemmo un bel regalo, per il matrimonio”. Che spreco di soldi.

Forse, per un amore che duri almeno finché morte non vi separi, c'è davvero assoluto bisogno di quella cosa su cui si sputa con sempre maggior foga.

Cioè la santa fede cattolica.

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(12.10.09)

 Cosa significa "innanzitutto uomini"

Era giunto il momento: ho fermato l’auto, ho detto loro che...

Commovente lettera del don Francesco Bertolina, missionario in Siberia.

Quanto manca, alla Chiesa oggi, un clero così. Fatto di uomini veri. La divina grazia, infatti, fa più fatica a passare attraverso i tiepidi esecutori di regolamenti.

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(11.10.09)

 Il buio medioevo è oggi

Certe volte mi vien voglia di intervistare uno dei sedicenti liberi alternativi atei agnostici eccetera. Tema: il buio medioevo. Solo che dopo ogni domanda e risposta aggiungerò a sua insaputa una piccola osservazione. Qui sotto propongo alcuni esempi, lo schema si potrebbe allargare fino a farlo diventare un libro di apologetica da intitolare “il buio medioevo è oggi”.

Domanda: è vero che nel buio medioevo la cultura era proibita?

Risposta: sì, è vero; c'era una casta di persone che controllava la cultura ed in generale ne impediva l'accesso al popolo. La gente era ignorante, i giovani non avevano accesso al sapere, la credulità e la superstizione erano all'ordine del giorno.

Osservazione: ma allora non stai parlando del medioevo! Stai parlando dell'età contemporanea. Infatti che cultura si ha oggi? Quella televisiva, controllata dalla casta laicista (e il popolo bue si illude invece che sia un certo Berlusca). Il dizionario medio dei giovani è di circa trecento vocaboli, per lo più attinenti al calcio e al sesso. C'è gente che fa il concorso per magistrato e scrive nel tema “xkè”, “nn”, “cmq” nei temi, come gli adolescenti svogliati che scrivono un SMS...

Domanda: ci parli della superstizione nel buio medioevo.

Risposta: nel medioevo tutti erano superstiziosi, fattucchiere e maghi imperversavano ovunque, la gente si rovinava la vita nel credere alla fortuna e alle scemenze più varie.

Osservazione: ma allora non stai parlando del medioevo! Stai parlando dell'età contemporanea. Infatti il numero di maghi e fattucchiere, oggi in Italia, è il triplo del numero dei preti! Non c'è giornale che non riporti l'oroscopo. Abbiamo un esercito di laureati, un diploma non manca praticamente a nessuno, e guarda quanta gente gioca il Gratta e Vinci sperando nella fortuna, guarda quanti giocano Superenalotto sperando nei milioni, guarda quanta gente scommette sulle partite e sulle corse... Fino a rovinarsi la vita!

Domanda: nel buio medioevo la gente era oppressa...

Risposta: sì, le caste sacerdotali facevano il bello e il cattivo tempo, le caste padronali opprimevano gli operai, i governanti di ogni livello esigevano in continuazione tasse e balzelli. Un vero inferno.

Osservazione: ma allora non stai parlando del medioevo! Stai parlando dell'età contemporanea. Infatti l'intoccabile casta “sacerdotale” di oggi, burocrati ed eurocrati, fa il bello e il cattivo tempo; i governanti ci inondano di tasse e multe in ogni modo, specialmente chi fa lavoro dipendente, le multinazionali decidono cosa si può trovare nei mercati e cosa non si dovrà trovare... Un vero inferno!

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(9.10.09)

 Scopriamo qualche altarino

“...la Memores, urlando, mi ha cacciato via dal gruppo di CL: mi chiamano traditrice, alla scuola di comunità parlavo ma c'era sempre qualcuno più anziano che aveva sempre ragione, e poi i fine settimana mi lasciavano sola...”

Ciao, io so chi sei tu e tu sai chi sono io, perciò posso “chiarire” qualcosa a beneficio di chi ha seguito questa discussione.

Anzitutto hai trascurato a tuo vantaggio qualche piccolo dettaglio.

Primo dettaglio: a ottobre (non “per tre anni”) tu sei entrata nel gruppo perché cercavi un moroso (ci hai provato anche con me) automunito che ti scarrozzasse in discoteca nei “fine settimana”. Non te ne importava niente del movimento di CL e non te ne importava niente della Chiesa.

Secondo dettaglio: a marzo (non “due anni fa” - ma forse anche qui hai mentito per amor di privacy e per esagerare il racconto) te ne sei uscita qualificando fieramente te stessa come “traditrice” (nessuno di noi ha usato mai quel termine nei tuoi confronti - tranne per scherzare, e solo dopo che lo hai ripetuto tu due volte).

Terzo dettaglio: a scuola di comunità eri tu (non “qualcuno più anziano che aveva sempre ragione”) che cercavi di metterti in mostra ripetendo le solite frasi fatte, come se per te l'appartenenza a CL serva non a diventare cristiani più consapevoli ma a diventare esperti “giussanologi”. Si chiama “scuola di comunità” perché la si fa per aiutarsi a vicenda a capire, non per fare una noiosissima rassegna di opinioni o per sfoggio di cultura.

Quarto dettaglio: ad “urlare” ti ci sei messa tu (non “la Memores”), ed è stato quando la Memor (“Memores” è plurale) ti ha pazientemente fatto notare che la scuola di comunità non il momento adatto per pomiciare.

Quinto dettaglio: sei stata tu a togliere il saluto (non “qualcuno del movimento”); dopo la seconda volta che fai finta di non vedermi, scusami, ma non ho più motivo di salutarti (faccio prima a salutare un muro), e così penso pure gli altri.

Insomma, è vero che nel movimento di CL si può trovare qualche cogl***ione, però cerchiamo di non drammatizzare troppo - e anche di non venire a parlarne su un forum informatico, che hanno già i loro guai.

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(8.10.09)

 Chi sei?

Prima o poi qualcuno muore dalla curiosità e chiede di sapere chi sono. Almeno il mio nome, di dove sono. Mi dispiace, c'è da temere che resterò per sempre il Ciellino Misterioso (quello che fa infuriare le matricole universitarie che cercano su Google “ciellini a morte!” e amenità del genere).

Dunque, visto che va di moda, procedo anch'io. Dieci cose di me “che (forse) non sapete”, per onorare la mia insaziabile vanità col risibile alibi di rispondere a qualche persona curiosa.

1) Quando passo volgo sempre lo sguardo lì, qualunque cosa io stia facendo in quel momento. Se nell'iPod non sto ascoltando musica sacra, abbasso anche il volume. Sì, lo sguardo rivolto verso quella statuetta della Madonna (di Fatima). Trattengo un sospiro: quella statuetta mi ricorda la Donna più pura e più perfetta che nessun uomo possa mai immaginare. Vergine per eccellenza e Madre per eccellenza. E quel luogo dimenticato, che se sprovvisto di quella statuetta non significherebbe niente nell'universo, mi è più familiare di tanti altri.

2) Non sono un perfetto ciellino, e perciò non sono un perfetto interista. Il perfetto ciellino non ha tutto questo tempo per lamentarsi (per di più su un blog anonimo con meno di mezza dozzina di lettori, incluso l'autore). Io invece mi lamento. Poi il ciellino tipico (diciamo i tre quarti del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione) tifa Inter “senza se e senza ma” (e lo stesso don Giussani teneva per l'Ambrosiana Inter). Io invece di “se” e di “ma” e di lamentele ne ho a iosa (ma si può mai pareggiare uno a uno con l'Udinese? dico, l'Udinese! sì, ma non sapevo neppure che giocavano. Sono un interista “credente ma non praticante”, perciò sprofonderei volentieri l'Inter nel campionato dilettanti se ciò servisse per (cattolicamente) salvare anche una sola anima. O anche per darle una solida possibilità di salvezza, come per esempio è avvenuto ad uno di quei presuntuosi stupidi che amavano qualificarsi “agnostici”, imbattutosi in una folla di “ciellini” e finito per convertirsi all'unica vera fede professata nell'unica vera Chiesa).

3) Adoro mangiare ciò che si sgranocchia. Più decibel emessi nell'esercizio della mascella, più gusto (specialmente se il gusto è delle papille oltre che alle orecchie).

4) Agli esercizi della Fraternità 2009 mi ritrovai un sabato mattina seduto accanto ad una spettacolare pulzella. Anche avendo evitato di guardare nella sua direzione piuttosto che verso il don Carrón, anche avendola vista solo di sfuggita, ce l'ho ancora oggi stampata negli occhi, la ricordo come se fosse oggi. Una presenza che colpisce. Qualche notte sogno che lei capiti per puro caso su questo blog, legga per puro caso quella pagina, e per puro caso mi scriva in fretta una email chiedendomi di conoscermi. Naturalmente, per puro caso, abiterà non troppo lontano da qui (altrimenti come farà a chiedermi di uscire insieme?) e sempre per puro caso intenderà corteggiarmi senza sosta e... sempre per puro caso, non suona la sveglia.

5) La mia giornata finisce con l'Angelus, ma a volte sono così stanco che mi addormento prima di finirlo. Poi magari mi rigiro nel letto alle tre di notte e riprendo a recitare il resto (quello presunto: magari ho sognato di essere ancora all'inizio e quindi riparto daccapo) e naturalmente mi riaddormento prima di riuscire a terminarlo. Altre volte invece, “all'italiana”, mi giustifico da solo: «santa Vergine, ne riparliamo domani».

6) Adoro gli animali. Quelli domestici in particolare. Non posso permettermi una pecora, perché in casa non è facile tenerne una. Gli animali si fanno osservare, criticare, fotografare, deridere, elogiare, senza batter ciglio (fatte salve timidezza e diffidenza). Ce ne sono alcuni che sembrano mettersi in mostra di proposito, proprio per farsi osservare da te. A volte però mi vengono certi pensieracci cattivelli. Quando vedo un suino, per esempio, già pregusto un affettato misto. Maiali, non fatevi gabbare dal Ciellino! Se viene accanto a voi e comincia educatamente a recitarvi la parte centrale di Una sañosa porfia imitando la voce del don Carrón, aspettate ad applaudirgli: è una prelibatezza di prosciutto quella che Ciellino vede in quel momento...

7) In questo momento sono sprovvisto di morosa ma qualche lento movimento parrebbe far ben sperare per il futuro. Mi scappa di tanto in tanto di domandare alla Madonna di trovare una donna che ami più Lei che me (altrimenti, chi sa come va a finire...)

8) Su certe cose mi commuovo fino a copiose lacrime. Vedendo un film o un anime, talvolta perfino leggendo un libro o un articolo, in qualche caso perfino ripensandone al contenuto. In qualche altro caso addirittura scappavo via qualche minuto (con la scusa della toilette) per ricompormi e non farmi scoprire dagli amici. Mi sono commosso parecchio a leggere della vocazione di Quantitative Metathesis (e quel che è peggio, mi sono commosso anche mentre traducevo in italiano quella pagina, e anche quando ci ripensavo dopo settimane che l'avevo pubblicata). Sono stato capace di commuovermi perfino leggendo la biografia di Carrón (però solo perché mi tornava in mente di quando l'ho conosciuto). Ma ciò che è incredibile è che riesco a vantarmene qui sul blog...

9) Non posso dare la lista dei miei blog preferiti per due motivi - perché non sono tutti cattolici (non voglio fare pubblicità gratuita al Nemico), e perché quelli cattolici saranno già preferiti anche dai miei lettori.

10) Le mie conoscenze di informatica sono sempre state scarsine. All'epoca in cui digitavo SMS a velocità bisonica, un amico mi disse che scrivevo bene e che avrei dovuto aprire un blog. Non sapendo neppure cosa fosse un blog, gli chiesi scherzosamente di aprirlo per me, aspettandomi che mi dicesse quanto mi sarebbe costato all'anno. Invece, l'amico webmaster (si infuria ogni volta che lo chiamo così) divenne serio e con accento professionale mi disse che per il mattino successivo sarebbe stato pronto e utilizzabile. Fu così che lo costrinsi a spiegarmi cos'era un blog, perché mai la gente dovrebbe inondare l'internet con le proprie elucubrazioni e commentare (possibilmente litigando) quelle altrui, e cosa fare per rimanere anonimo (cosa che mi importa più dell'avere successo). Per un po' di tempo non lo utilizzai, limitandomi a cercare una sorta di ispirazione nei blog altrui, riscoprendo quel che già sapevo (e cioè che è prassi comunissima riempire l'internet delle proprie elucubrazioni). Per un lungo periodo lo tenni protetto da password affinché nessuno potesse leggerlo (rischiavo di essere scoperto), limitandomi a pubblicare una pagina al mese per tenerlo “attivo”. Poi, apparentemente scampato il pericolo, l'ho reso nuovamente pubblico. Ora, con qualche cautela, riesco anche a consigliare di aprire un blog. Anche una pagina al mese. Anche se per un anno nessuno si accorge di te. È molto più costruttivo delle patetiche alternative (Facebook, Twitter, forum...)

Di tanto in tanto capita qualcuno che nel leggere qualche stramba paginetta di questo blog mi chiede chi sono, dove abito. Per vari motivi, tra cui quello di continuare ad essere libero di scrivere con tanta veemenza, non rivelerò chi sono. Sono talvolta tentato di rispondere: sono il tuo collega cattolico in ufficio, sono quello che hai visto all'ultima scuola di comunità, ero quello con cui hai parlato per qualche istante all'ultimo Meeting... Ma una risposta del genere scatenerebbe ancora di più la curiosità. Ed anche quando fossi sincero dicendo “siamo pressoché coetanei e ci separano un po' di chilometri” scatenerei l'indagine curiosa, e presto o tardi qualcuno, nonostante le promesse, non resisterebbe a confidare a qualche amico: “sai, Ciellino Misterioso è...” E forse addirittura il giorno dopo sarò sui blog di mezza Italia (quale onore) o comunque identificabile da chiunque sappia usare Google (un brivido di terrore mi attraversa ogni anfratto della colonna vertebrale).

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(6.10.09)

 Relativismo: una vignetta

Trovo su una rivista una vignetta che fa riflettere.

In cella, un anziano ergastolano dice ad uno più giovane: le cose per cui mi diedero l'ergastolo... oggi sono diventate legali.

(5.10.09)

 Avvicendamento di parroci. A Taiwan

Infatti credo che se una persona desidera di fare il prete missionario, non la fa perché pensa di essere una persona particolarmente brava o coraggiosa, o perché crede di essere speciale, di essere un santo. No. Uno decide di fare il prete perché vuole ringraziare per i doni grandi che ha ricevuto e vuole farne partecipi gli altri.
(Cheng En Xiè, cioè don Emmanuele Silanos, neo-parroco dalle parti di Taiwan)

Era una lettera in cinese, ma per mia fortuna ne hanno pubblicato la traduzione in italiano.

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(1.10.09)

 Virilità e castità

Torna un vecchio amico dall'estero. Dopo aver lavorato qualche anno presso Famosa Grande Azienda, è stato finalmente trasferito in Italia.

Le prime cose di cui mi parla sono le sue (fantasiose) avventurette con le donne di quelle parti. Capisco che sono semplici fantasie dal fatto che introduce il discorso dicendomi che avrebbe “saputo” che durante questi anni anch'io ci avrei dato dentro. È solo un modo per dirmi che mi considera suo complice, che è disposto a ritenermi “virile” in modo che io creda alle sue gesta di “virilità”.

Per sua sfortuna, rispetto a quegli atti, la virilità non ne è l'esercizio forsennato ma il saper dominarli e saper riservarli ai momenti della vita matrimoniale in cui si desiderano figli.

“Virile”, infatti, implica “casto”. Virilità è dominarsi, è saper vincere perfino i propri limiti, perfino le proprie smodatezze.

Non è un caso che il primo significato di effeminatus, presso gli antichi romani, fosse quello di “uomo che si lascia andare alle passioni”. Cioè quello di “non virile”, perché il vir, l'uomo forte combatte e vince anche le proprie passioni. “Effeminato”, invece, è uno che come le “femmine” dà ampio spazio alle proprie passioni, uno che vuole tenere a freno tutto tranne le debolezze del proprio cuore e dei propri istinti (gli antichi romani, come in tutta l'antichità non cristiana, avevano una scarsa considerazione della donna). Secondare le passioni non è fertilità, non è virilità.

(E tu, donna, per la tua vita vuoi un uomo virile o ti accontenti di un complice che nonostante tutte le sue buone intenzioni finisce per considerarti un pezzo di carne da concupire?)

Di fronte a chi fa sfoggio di prodezze, vere o di fantasia, i ragionamenti non servono a niente. Un pizzico di ironia è sufficiente a ridicolizzare tutto il castello di fantasie dell'interlocutore, per quanto preparato e infiocchettato.

L'uomo “virile” non ha tempo per lasciarsi andare alle passioni, perché ha un ideale grande, grandissimo, che richiede l'impegno di ogni respiro della sua vita.

Ecco perché esistono il monachesimo, il francescanesimo, i grandi ordini religiosi. I loro fondatori erano virili nel senso pieno della parola.

Quel loro farsi “eunuchi per il regno dei Cieli” non era una castrazione, ma una virilità in senso pieno, un essere “innanzitutto uomini”, una virilità non intaccata dall'arrendersi ai propri istinti.

Vien da pensare alla situazione della Chiesa di oggi. I santi oggi scarseggiano perché scarseggia, specialmente nel clero, quella virilità, quella virtù (vis, forza; vir, uomo; virtus, virtù, del vir...), gli manca quell'essere uomo schietto, quella nettezza, chiarezza, eloquenza, quella capacità di imporsi che solo chi vince sé stesso può avere.

Citazione: «Un alto clero evidentemente virile, nel senso qui descritto, evocherebbe di nuovo questa potenza: basterebbe per attrarre sulla Chiesa la popolarità e un’autorità incarnata che persino gli avversari riconoscerebbero con rispetto; provocherebbe certamente il malcontento dell’harem clericale, le invidiuzze e i sussurri impotenti, il timore di veder lacerati decenni di femminei intrighi e accomodamenti col secolo. L’alto clero preferisce da tempo, ormai, le frigide esangui sicurezze del serraglio».

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(28.9.09)

 Quell'inquietudine

Quell'inquietudine che ti fa pensare: “voglio andare a casa” quando sei fuori, e “non ce la faccio più a stare qui” quando sei a casa.

Quell'inquietudine che ti fa pensare: “vorrei mangiare qualcosa”, e quando apri il frigo ti riaccorgi di essere già sazio.

Quell'inquietudine di quando non vedevi l'ora di stare accanto alla morosa, e di quando mentre stavi accanto a lei non vedevi l'ora di andar via e tornare in libertà.

Quell'andare a caccia di cose, di situazioni, di parole, che sai che ti faranno star male, e che cerchi ugualmente.

Quei grandi -grandiosi- propositi della sera prima di dormire, svaniti già all'alba del mattino successivo. Quelle grandi promesse impossibili da realizzare (“ma troverò un modo, o almeno lo spero”), quelle grandi attese, grandi aspettative, sebbene tutto lasci intuire che sarà l'ennesimo buco nell'acqua.

L'animo umano è incontentabile, inquieto, confuso. Sempre. È così che va.

Anche ottenendo tutto ciò che desidera, resta sempre inquieto.

Un'inquietudine infinita ha bisogno di una risposta dello stesso calibro: infinita.

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(26.9.09)

 Un film sul don Giussani? Bah!

Grande notizia (per chi detesta il movimento): al Meeting è stato annunciato, durante uno degli incontri, un film Rai sulla vita di don Giussani. Spero proprio che non verrà prodotto.

Annotavo sul mio taccuino: il film che banalizzerà (in direzione sentimental-teocon) il don Gius - come hanno reso melense e noiose le figure di santi e di pontefici, così banalizzeranno don Gius.

Sul Corriere, nella rassegna stampa, leggevo di quattromila ciellini in piedi in ovazione: notizia inventata di sana pianta. Infatti l'applauso c'è stato (e non sembrava neanche troppo convinto), ma l'ovazione no.

Penso che al Corriere esultassero (fino ad una “ovazione”) nel sapere che si potrà televisionizzare don Giussani: dopo la visione del film chiunque penserà di saper già tutto di CL.

Come diceva il Duce, Benito Mussolini, “la cinematografia è l'arma più forte”. Per banalizzare un personaggio o un argomento, è spesso sufficiente anche un solo film in cui piazzare anche una sola scena o una sola battuta per distruggere - o chiudere in una nicchia di “appassionati” dell'argomento - un'intera storia.

Non erano 4000 ciellini ad applaudire, erano di meno. Infatti io c'ero e non ho applaudito. Ho visto molti applaudire, ma quei “molti” non erano “tutti”. Vuoi mettere? Tra un reality e un film di Bud Spencer, tra uno sceneggiato sentimentale e una televendita, tra i cartoni animati e la rubrica sportiva... toh, il film su don Giussani.

Quel film sarà terribilmente noioso se sarà realistico e ancor più noioso se si inventeranno “cose per far crescere l'audience(mi domando come faranno a infilare una storietta d'amore, ingrediente obbligatorio per tutte le produzioni cinematografiche. Forse ne inventeranno una, rappresentando il don Gius come se fosse uno che benedice i fidanzatini infoiati: “va' dove ti porta il cuore!” e quando gli fanno dire “che c'entra questo con le stelle?” i due pomiceranno in posizione differente).

Sarà noioso. Infatti, cosa c'è di raccontabile di don Giussani? Che fino a 32 anni insegnava in seminario? Sai che vita movimentata fare l'insegnante... Cosa c'è da raccontare? Che durante tutta la vita ha celebrato la Messa e amministrato i sacramenti ed insegnato le cose della fede? Che ha parlato ed ha scritto? Cosa si può infilare in un film per “fare scena”? Come si può inscenare una messa o una lezione restando fedeli anche a come venivano fatte? Come si fa a inscenare quell'abbraccio e quello sguardo che solo chi lo ha vissuto può riconoscere?

Insomma, nel film c'è poco da “inscenare”. Don Giussani non aveva mica la vita di un Indiana Jones o di un ispettore Callaghan...

Per cui, se proprio occorre un film sul don Giussani, dovrebbe essere un documentario fatto solo di immagini di repertorio, di spezzoni di registrazioni dei suoi incontri - facendo parlare lui. Il compito -impossibile- del film è quello di far capire perché mai uno che ha solo celebrato messa e insegnato le cose della fede, obbedendo alla Chiesa anche quando certi ecclesiastici lo perseguitavano, uno che non ha mai voluto fondare niente, uno che di avventuroso ha avuto solo un caffè in compagnia o una fumata di sigaro... si è ritrovato attorno un popolo.

Già lo immagino, questo film.

Comincerà con venti minuti di patetiche scene di campagna, paesaggi, animali da cortile, per il primo gran colpo di scena: il padre super-socialista (sempre strafare!) di don Giussani bambino, che paga un violinista per andare a suonare a domicilio. Lunga ripresa della telecamera alla faccia ebete del bambino (che sembra pensare: “ma te vedi te che me tocca subire per avere 'sto benedetto regalo da Babbo Natale!”) Ed una voce dolciastra, in sottofondo, che recita (come postumi di un trip): “in casa Giussani pane e musica non mancavano mai”. Oppure la mamma del piccolo don Giussani, andando a Messa alle cinque del mattino, che dice (con la stessa rassegnazione di un “piove, governo ladro”, altro che echi del salmo VIII), “com'è bello il mondo e come è grande Dio!” La telecamera riprende il dongiussanino con faccia ebete che la guarda mentre sembra che stia pensando: “la prossima volta che sgraffigno uova dal pollaio, non mi faccio beccare”.

Seconda eroica scena: don Gius in bicicletta. Immagini del seminario, riprese facendo in modo che sembri il più lugubre e grigio possibile. Don Gius, Manfredini, Biffi e De Ponti che parlano di cose di Alta Teologia (a undici anni, di cosa volete che parlassero? di Dragonball e della Playstation?) Così, quando uno dice: “che c'entra Cristo con la matematica?” lo spettatore pensa: ma guarda te com'erano contorti i cervelli di questi quattro. Altro spettatore: “infatti non c'entra niente” (ironia della sorte, era pure vescovo o cardinale). Terzo spettatore: “Vediamo se sull'altro canale c'è finalmente qualche scena di nudo”. La vecchina spettatrice: “come la fanno complicata!” (e magari pensa pure: “però, come son cambiati i tempi... oggi vogliono dare la pillola abortiva alle dodicenni... ieri a dieci anni si entrava in seminario sperando di accedere al sacerdozio!”)

Terza grande scena: brevissimo intermezzo per dire, nel minor tempo possibile, che don Giuss diventa prete nonostante i problemi ai polmoni e che - vita eroica e avventurosa! - resta in seminario ad insegnare. La scena dei fascisti che lo inseguono mentre lui fugge in bici è stata tagliata per motivi di opportunità politica e per non dover allungare lo spiegone sui polmoni.

Quarta scena: enorme pistolotto di venti minuti, don Giussani pensoso in treno, quattro teppistelli beneducati nello stesso scompartimento, completamente a digiuno di catechismo, discutono di Alta Teologia. Ma nel film non si possono rappresentare gli errori di cui tanta gente va fiera: per esempio, se uno dei teppistelli dicesse “il Papa non conta niente!”, ci sarà una ampia “ola” in vasti settori dello stadio clericale, e se al don Gius si fa rispondere che il Papa è il successore di Pietro, il giorno dopo tutti i giornali racconteranno del film oscurantista, retrogrado e integralista... Per cui, meglio qualche stacco sul paesaggio, sull'abbigliamento dei giovani, sui sorrisi, sulle dolci parole, sulle simpatiche suonerie dei loro cellulari... anche il don Giuss, nel film, dovrà sembrare uno che si è appena “calato”, uno con aria ebete che si atteggia a dolce dispensatore di sorrisi e frasi fatte (altrimenti la gente non lo capisce, eh! La gente sa che i preti sono persone noiose: sacramenti, dottrina cristiana, liturgia in latino, sempre pronti a criticare chi “democraticamente” impone aborto, eutanasia, contraccezione e altre conquiste della “civiltà”. Perciò, in TV, i preti devono sempre essere melensi, “trippati”, “calati”, sdolcinati: dei dispensatori di sospiri e sorrisi, tra una frase fatta e l'altra. Altrimenti il Potere non gradisce).

Quinta scena: don Giussani che va di qua e di là a tenere conferenzine e incontrini (riprendere solo mentre cammina, mentre prende il tram, mentre Chieffo gli dà un passaggio nella Cinquecento). Sale i trenta (non erano tre? ma nel film bisogna sempre strafare) gradini del liceo Berchet, tra ragazzi che si fanno le canne, ragazze vestite e truccate come vecchie bagasce di periferia, coppiette pomicianti e fumanti in ogni angolo, insegnanti disperate, in fondo al corridoio c'è un falò di libri di storia e latino mentre un ragazzo capellone sputa sulla porta dello studio del preside (sapete, è vero che bisogna contestualizzare, la TV deve aiutare a immaginare nel presente, come se il don Giuss entrasse in una scuola oggi e sorridesse alla gioventù di oggi, una sorta di Mago Pancione...)

La scena della nascita dei Memores Domini è stata tagliata, perché non la capiva neppure il regista: “a chi vuoi che gliene importi di gente che vuole vivere per Cristo, in verginità, senza però farsi né prete né suora?”

Sesta scena: memorabile assemblea (in senso sessantottino) in cui qualcuno dei capelloni lì presenti agita un foglio dove c'è scritto “Comunione e Liberazione”, dicendo: “noi, per stare in comunione, dobbiamo fare la liberazione”, o qualche slogan del genere (lo sceneggiatore aveva originariamente scritto “noi, per fare la comunione”, ma poi si è accorto che quella frase richiamava i sacramenti cattolici, il che poteva offendere troppa gente, per cui la frase è stata modificata). Primo piano del don Giussani che, pensoso, osserva da lontano il foglio. “Siamo nel 1969”, racconta la voce trippata del narratore, “e don Giussani sceglie il nome del movimento che ha fondato”. (Nota dietro le quinte: “affondato?” chiedeva il cineoperatore. “Fondato, fondato!” grida il regista. “E quando lo avrebbe fondato?” chiede lo sceneggiatore. “Mah, c'è tutta questa gente nella scena, si presume che lo abbia fondato, lo spettatore capirà... Se tanta gente sta radunata attorno a qualche santone, dev'esserci per forza un intento politico o una credulità religiosa... possiamo mica dire che seguivano don Giussani perché lo vedevano più cristiano di loro? Ci licenzierebbero in tronco! Così, meglio lasciare alla fantasia dello spettatore la risposta, ognuno crederà quel che gli pare, l'importante non è la verità, ma quel che ognuno vuol credere!”)

Settima scena: anonimi assaltano la Jaca Book, casa editrice “ciellina”, manifestini anti-ciellini nell'università (anche qui ragazzi pomicianti, capelloni, canne, e nessuno che studia: sapete, bisogna che gli spettatori trovino la cosa realistica, familiare). Don Giussani serafico che sospira e dice: “pace, pace e bene” in ogni occasione (un po' di libertà di regia, vorrete mica negarla?) Il portone della Jaca Book è un pochino sporco e bruciacchiato (non si può mica dire che gli studenti di sinistra tiravano molotov e distrussero ben più che l'intera sede della Jaca Book, non si può mica dire che le Brigate Rosse gambizzavano esponenti ciellini, non si può mica dire che appartenere a CL faceva guadagnare mazzate perfino dal FUAN e campagne diffamatorie perfino da ambienti cristiani... tutto questo sarebbe poco politically correct; ci querelerebbero... magari uno di quei tiratori di bombe molotov oggi è ai vertici di qualche importante partito; sapete, tutti i sessantottini si sono riciclati, non si sa mai; rimedieremo con la scena di don Giussani che salva un gattino arrampicatosi su un albero e tra mille sorrisi e mille applausi dice qualche sua frase famosa ciellina che nessuno dei telespettatori capirà).

Ottava scena: “facciamo un meeting, sì, facciamo un meeting!” urlano i giovani della solita folla di capelloni radunata (anche stavolta non si sa perché) attorno a don Giussani. Il don Giussani dice: “dobbiamo fare il Meeting, bisogna fare il Meeting e deve diventare internazionale e grande e famoso”. Infatti, la gente capirebbe mai che il lavoro di alcuni volontari può produrre frutto e crescere? La gente può comprendere mai che il Meeting è sintesi di ingenua baldanza e di attenzione nell'organizzazione? La gente capirebbe mai che le opere del movimento di CL sono il risultato di una fede vissuta piuttosto che la premessa per un volontarismo da tempo libero?

Nona scena: funerali di don Giussani. Pistolotto gigante su quant'era buono quell'uomo (ma perché? non si sa), quant'era bravo quell'uomo (ma perché? non si sa), quanto era Esperto di Giovani quell'uomo (ma perché? perché i ciellini invadono scuole e università e ancora non li si riesce a cacciar via; anzi, più li si perseguita e più aumentano di numero: è una vera tragedia per i movimenti studenteschi di ogni colore, che vedono erodersi tutto il consenso). Entra in scena il cardinal Ratzinger, che durante l'omelia alle esequie dice: “ton Ciussani afefa rifiutato tue volte l'episkopato, ja, und la sekonda folta pure il kardinalato, ja” (la gente apprezzerà, perché i cultori del potere affermano sempre che se uno vuole essere considerato cristiano allora non deve avere incarichi né politici né ecclesiali, perché deve lasciarli tutti ai sinistrorsi progressisti).

Scena finale: panoramica su una folla oceanica di giovani, che più che una Giornata della Gioventù sembra un happening alla Woodstock. I titoli di coda sono più lunghi della Divina Commedia, ma ovviamente non contengono nessun riferimento al movimento di CL: non sia mai che qualche spettatore abbia da incuriosirsi su questo popolo cristiano...

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(23.9.09)