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(24.06.10)

 Con gli amici agli esercizi

Ogni mattina penso: stavolta scrivo un post sui miei appunti degli esercizi. Poi la pigrizia mi fa cambiare idea e parlo d'altro: questi giorni di esercizi non sono riducibili ad un evento religioso-culturale. E continuano ad arrivare da Google visitatori a caccia di appunti, come uno - in piena notte - da un'azienda USA (questo blog è già diventato internazionale). Ma i più divertenti sono quelli che provengono da siti web di entità teoricamente ostili al movimento (no, non rivelerò nulla).

Agli esercizi di CL ho avuto più di qualche momento spassoso nel rivedere i più cari amici che magari era un anno che non ci si sentiva.

Quei cari ragazzi dei Memores Domini, per esempio (dico “ragazzi” anche se quando sono avanti negli anni). In albergo qualche volta sono stato a tavola con loro. Il capocasa per un attimo mi guarda divertito: avrà creduto di vedere in me una possibile vocazione? Devo ammettere che con degli amici così (con dei “compagni di cammino” siffatti) l'ipotesi non sarebbe da scartare troppo in fretta.

Poi quelle care ragazze delle Memores. Una di loro racconta delle cose che ha vissuto e della sua vocazione (caso raro, perché non si raccontano a chiunque i momenti più delicati della propria vita). Riesco perfino a parlarle in privato e a domandarle qualcosa di più serio, fino a chiederle se fosse davvero talmente contenta da fare quella vita. «Diamine, ma io ne sono orgogliosa!» mi risponde quasi con un ruggito, sproporzionato alla sua corporatura minuta. “Orgogliosa” non era il termine adatto - l'orgoglio è un vizio, lei voleva intendere “fierezza”, ma ci siamo intesi benissimo. Tra buoni intenditori, poche parole, e vanno bene anche se non sono troppo precise.

Nei padiglioni dove si son tenuti gli esercizi ho visto anche un po' di frati e suore, variamente assortiti. Ma non ricordo di aver visto qualche volto familiare. Può capitare, in mezzo a ventiseimila persone...

I ciellini sono generalmente mattacchioni. Uno di loro mi saluta (col saluto romano!) dicendomi: “chi ci guida e ci conduce?” Scherzosamente rispondo: “il Duce!” Un altro ciellino un po' meno mattacchione ci lancia un'occhiataccia bonaria (quasi più occhiataccia che bonaria). Con le facce di bimbi beccati con le dita nella marmellata sorridiamo e assumiamo obbedienti una posa antifascista. Bisogna essere proprio ciellini per scherzare su queste cose. Siamo in un paese dove si può scherzare su tutto tranne che sui dogmi del Politically Correct. Probabilmente, per scherzare su un'altra volta su quel tabù dovrò aspettare di rivederli al Meeting ad agosto o addirittura agli esercizi del 2010...

Ecco poi un'altra amica delle Memores che non vedevo da una vita. Mi chiede come mi vanno le cose. Le parlo del mio lavoro e delle mie passioni. Forse era preoccupata, sapeva che il lavoro va maluccio e che non ho più la morosa. Era contenta di trovarmi tutt'altro che depresso, faticava addirittura a nasconderlo. Sentirmi parlare di ciò che mi appassiona, anche se non gliene importa niente, deve averla rassicurata. Anche stavolta emergeva uno sguardo amico così grande - un'attenzione al tuo destino che non può essere banalmente riducibile a curiosità o galateo - che capisci che è del tutto ridicolo ridurre il movimento ad una “associazione di ciellini” dedita ad intellettualismi religiosi (cioè la gara tra ridicoli “giussanologi”) o attivismo (cioè la gara tra “cielloti”) più o meno politico.

Però a pensarci bene quelle due calunnie (CL “intellettualismo” e CL “attivismo”) sono interessantissime. Agli occhi dei detrattori di Comunione e Liberazione (che vedono solo i difetti peggiori dei peggiori sedicenti ciellini, e ne fanno metro di misura assoluto dopo averne esasperato i contorni), significa due cose. Se accusano l'intellettualismo, vuol dire che stanno ammettendo che in CL non ci sono dei cretini ma c'è una cultura. Altri ambienti ecclesiali sono talmente concentrati su sé stessi da sacrificare (o addirittura detestare) l'aspetto “culturale”. Quando invece sono ambienti non ecclesiali, sono generalmente riducibili a hobby (quanta gente conosco essere “impegnata nel sociale” solo come passatempo!)

Di quando in quando mi imbatto in qualcuno che vuole convincermi che un “movimento ecclesiale” dovrebbe consistere solo in una pioggia di attività di preghiera (magari da incanalare nelle parrocchie per “riempirle” di attività e di gente) oppure di attività di volontariato (o un impiastro delle due). Che discorsi noiosi.

Chi accusa CL di avere un suo gergo, di pubblicare libri, di peccare di intellettualismo, in fondo in fondo sta ammettendo che CL è fatta per persone che hanno un orizzonte culturale non limitato al proprio ventre e dintorni.

Quando invece si accusa CL di attivismo e di potere più o meno politico, di solito lo si fa in nome di un attivismo politico opposto e sprovvisto di ragioni adeguate come quelle cielline. Dopotutto non c'è niente di più urticante di un manipolo di ciellini che organizza una cosa, ne dà allegramente le ragionevolissime ragioni, e riesce pure a compierla con successo: ciò è specialmente fastidioso per quell'esercito dei sinistrorsi e radical-chic incapace di costruire, che vorrebbe solo distruggere, e riesce soltanto a organizzare inutilissime manifestazioni di protesta.

E speriamo domattina di trovare l'ispirazione poetica necessaria a commentare gli appunti presi agli esercizi della Fraternità...

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(30.4.09)

 Il popolo di CL agli "esercizi"

Ancora un altro post sugli esercizi. E non sarà l'ultimo.

Alcune immagini mi sono rimaste particolarmente impresse.

Già venerdì sera il “popolo di CL” entrava composto e in silenzio nei saloni. Quattordicimila posti a sedere per salone. Saloni strapieni.

Quel silenzio “parlava”. Diceva cos'è un popolo. Dice cosa significa avere coscienza di un destino comune. Un cammino comune. Nel ripensarci, vorrei mostrare quella scena al mio parroco, che non ha mai visto entrare in parrocchia compostamente e attentamente non dico ventisei persone, ma almeno cinque o sei. Lì ce ne erano oltre ventiseimila, un numero “piccolo” rispetto ai veri numeri (veramente difficili da stimare) di Comunione e Liberazione (non tutti possono permettersi di andare a Rimini per tre giorni, anche se due di questi tre sono festivi).

Un risultato del genere - decine di migliaia di persone in silenzio, in ordine - è impossibile da ottenere, se non con la violenza di uno Stalin o di un Hitler. C'è dunque qualcosa in CL che muove le persone stimolando la loro libertà. Sarebbe impossibile muovere tanta gente con una violenza hitleriana senza che nessuno ci faccia mai caso.

Coloro che deprecano il movimento (come il mio parroco), avrebbero dovuto vedere quella scena venerdì sera. E rifletterci onestamente. Basta un minimo di onestà per far crollare tutte le etichette anticielline distribuite dai soliti sfigati che del protestare e del detestare hanno fatto una ragione di vita.

Mi ritrovo a meravigliarmi anch'io. Dopo anni di presenze agli esercizi, ancora resto a bocca aperta nel vedere quel popolo e nel riflettere su quanto grande sia ciò che lo tiene unito. Probabilmente non sono l'unico.

Ventisei puzzoni di un centro sociale fanno una micromanifestazione di protesta? Prima pagina sui TG, o almeno una citazione in cronaca. Ventiseimila adulti, liberi, coscienti, fanno un discreto sacrificio (di tempo e denaro e fatica) per andare a degli “esercizi spirituali” di CL? Silenzio stampa totale.

Silenzio totale perché se qualcuno ne parlasse su un quotidiano a tiratura nazionale, dovrà pur dire perché tanta gente si raduna lì, dovrà pur tentare di abbozzare una spiegazione su come mai gli esercizi siano così importanti da far dire “ne vale la pena” di fronte ai sacrifici fatti per andarvi. Dovrà pur intervistare chi tiene gli esercizi. Il quale potrebbe dirti in poche parole qualcosa che se lo trascrivi nel “pezzo” mandato alla redazione, o te lo cestinano subito o te lo pubblicano per errore ma il giorno dopo ti trasferiscono a fare il galoppino dell'ultimo dei corrispondenti della rubrica Giardinaggio. Non c'è bisogno di essere “giornali di sinistra” per fare certe cose.

Un'altra immagine mi torna in mente. Quella lunghissima, interminabile fila di sacerdoti per la distribuzione dell'Eucarestia. Per amministrare la Comunione a 25-26mila persone in pochi minuti (lo spazio di non più di tre canti) ci vuole un esercito di preti. Bene: l'esercito c'era. Una delle “divisioni del Papa” era lì.

Che santo spettacolo! In quella fila di sacerdoti che si sparpagliavano per tutti gli angoli e incroci del salone, riconoscevo talvolta qualcuno dei miei amici della San Carlo (li chiamo amici anche se non si ricordano di me: come fai a ricordarti di uno con cui hai parlato una sola volta? ma io prego per loro ogni giorno e li chiamo “amici” perché li considero tali, perché quel poco che hanno potuto fare per me lo trovo preziosissimo - si può diventare benefattori anche con una sola parola).

Un esercito di sacerdoti, di tutte le età e di tutti i generi. Si va dal congolese in missione in Russia all'anziano e affaticato monzese. Si va dal parroco basso e attempato e pelato al giovane alto come un armadio. C'è il romano, c'è il marchigiano, c'è uno dei milanesi... Tutti con la loro pisside zeppa di ostie.

Per la comunione, una fila ordinata. Per l'ingresso e l'uscita dai saloni, la percentuale di aspiranti furbi è veramente irrisoria. Il servizio d'ordine fa le cose per bene. E' facile il compito del servizio d'ordine con un popolo siffatto.

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(29.4.09)

 Appunti esercizi Fraternità di Comunione e Liberazione (CL, esercizi Rimini)

Anche quest'anno, nei giorni immediatamente successivi agli Esercizi della Fraternità di CL ci sono i soliti che si affidano a San Google per trovare gli appunti degli esercizi. In decine hanno cliccato su questo blog trovando solo... la pagina in cui dicevo che avrei partecipato (oppure la pagina dell'anno scorso dove dicevo queste stesse cose; magari oggi ce ne saranno altrettanti e domani pure).

Costoro si dividono in due categorie: quelli che c'erano ed erano troppo stanchi per annotare quanto detto da don Carrón (anche se il solo ascoltarlo, specialmente nel caso di quest'anno, sarebbe stato davvero interessante: altro che “appunti”!) e quelli che non c'erano e non vedono l'ora di sapere cosa ha detto don Carrón.

Si consolino: col numero di maggio o giugno di Tracce uscirà in omaggio il libretto ufficiale, con tutte le citazioni al loro posto (non semplicemente “l'allora cardinal Ratzinger disse che”, ma libro, titolo, edizione, pagina, citazione virgolettata e quant'altro). Mentre partecipavamo agli esercizi, il numero di Tracce di maggio era già in “finalizzazione”, per cui dubito che possano uscire in forma cartacea già allegati al numero di maggio.

Tal libretto, per chi è iscritto al sito web della Fraternità, sarà presto disponibile in formato elettronico PDF anche prima - come già avvenuto negli anni scorsi. Così uno se li può leggere sul computer o sul cellulare, mentre viaggia in autobus.

Ora però vorrei capire a cosa servono veramente quegli appunti tanto cercati su Google. Se gli Esercizi Spirituali di CL sono riducibili al libretto-appunti che ne contiene il testo, allora è inutile partecipare agli esercizi. Eravamo oltre ventiseimila partecipanti (in leggera flessione rispetto agli anni scorsi), dunque saremmo stati ventiseimila stupidoni che potevano comodamente stare a casa a cercare il testo su Google?

Io ho bisogno di andare agli Esercizi (con tutta la fatica e la spesa che ciò comporta) perché ho bisogno di quel popolo e soprattutto di quel don Carrón che parla a me (e pure agli altri ventiseimila, ma sento che parla a me, direttamente, faticando per ogni parola, avendo l'assoluta e disperata urgenza di non presentarsi davanti a Cristo dicendogli solo “ho fatto quel che potevo”). Per di più, essendo quei tre giorni (due e mezzo) dedicati esclusivamente agli esercizi, c'è minor rischio di distrazioni.

Gli esercizi non sono riducibili ad una lezione universitaria. Il fatto che Tracce mi pubblichi il libretto è una gran comodità, ma non c'è fretta. Nel prendere appunti annotavo solo le mie considerazioni e le parole più sonore di don Carrón - non sto certo a trascrivere ogni cosa, non sono di quelli che trascrivono pure il telegramma inviato dal cardinal Bertone a nome del Papa. Prendere appunti significa fissare su carta qualcosa che nella fretta (o nell'abbondanza degli argomenti seri ascoltati) potresti dimenticare o non saper esprimere. Una volta rivisti, una volta utilizzati per bene, probabilmente possono non servire più.

Prendere appunti è qualcosa del tutto personale. Ciò che colpisce me può essere secondario per qualcun altro, e viceversa. Ciò che io conosco bene e posso abbreviare o evitare di trascrivere, per qualcun altro può essere essenziale. Se di tutti gli esercizi spirituali riesci a tornare a casa con una sola frase, o anche una sola parola, che ti ha colpito al punto da risvegliarti un sano desiderio di cambiamento, allora la fatica e la spesa degli esercizi sono state già ampiamente ripagate. Solo uno stupido (o un distratto) riesce a lasciarsi scivolare addosso l'intera tornata degli esercizi. Bisogna essere proprio distratti (ci vorrebbe una parola più volgare) per andare agli esercizi aspettandosi di ascoltare delle prediche eleganti, di commentarle e magari anche di “preparare una domanda intelligente” - c'è gente che dopo decenni di militanza nel movimento, Banco Alimentare, vendita di Tracce, cariche di responsabilità e tutto il resto, ancora va agli esercizi con quello spirito da associazione culturale e dopolavoristica - quelli che su questo blog qualifico sprezzantemente come “giussanologi” e “cielloti”.

La distrazione principale di questi esercizi è stata... quella pulcherrima pulzella seduta alla mia sinistra sabato mattina, con quegli splendidi occhietti verdi da farti svenire di gioia (ho sempre detto che all'università se vedi una ragazza carina, quasi certamente è ciellina - ma evidentemente ciò resta vero anche dopo l'università). Una bellezza fuori dai canoni volgari, una bellezza di quelle che t'incantano (scommetto che altre decine di googlatori atterreranno su questa pagina cercando foto e altre notizie di lei). Solo chiedendomi spesso il motivo per cui ero lì ho potuto prendere appunti senza lasciare che la sua presenza diventasse un assillo tale da sprecare la mattinata. Però mi è rimasta impressa. “Un possesso, ma con un distacco dentro” come diceva il don Giussani.

A suo tempo ho ravanato anch'io nel mar di rumenta degli appunti altrui, per l'insicurezza di aver preso male i miei, per il desiderio di imparare qualcosa di più che magari mi era sfuggito. Ma presto scoprii che un buon caffè è molto più efficace (quando si è assonnati, si comincia a lasciare le frasi a metà, oppure ad annotare cose secondarie perdendo di vista il filone principale).

Quest'anno ho visto diverse persone armate di netbook e palmari. La tecnologia aiuta nella misura in cui la padroneggi. Ma c'è sempre il problema di come riutilizzerai gli appunti che prendi. Inutile scrivere fino a provar dolore nella mano, quando poi a stento li rileggerai (e nel momento in cui arriva il libretto dettagliato allegato a Tracce, quegli appunti probabilmente non serviranno più).

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(28.4.09)

 Testimonianze dall'Obra

Scopro per caso questa interessante testimonianza di un numerario dell'Opus Dei in missione in Giappone. Mi somiglia un pochino (almeno per quel che riguarda i nomignoli dei propri giocattoli da bambino).

Commovente il caso di quel suo amico architetto. Sebbene non cattolico, con la moglie prega ogni sera san Josemaría “e riceve molte grazie per la sua intercessione” (e chissà che un giorno non riceverà anche il “grande favore” della conversione all'unica vera fede). L'ho sempre detto che i giapponesi, a differenza degli occidentali, hanno un sentimento religioso più sincero e non si vergognano di fare quei gesti così semplici e così densi. Qui in Italia molti cosiddetti cattolici non sanno fare più neppure il segno della croce (fanno un segno striminzito, inzuppati di vergogna e fretta)

Siccome una pagina tira l'altra, leggo anche quest'altra testimonianza, di Ana. Mi colpisce la convinzione e la passione di quella quindicenne che si mette a lavorare in un laboratorio di biologia. Solitamente i “giovani” italiani, di questi tempi, arrivano a superare i trent'anni di età senza sapere neppure cosa sia il lavoro, avendo nutrito passioni più o meno passeggere per personaggi dello spettacolo e dello sport. Ana, invece, quindici anni, prende sul serio la sua passione per la realtà, per qualcosa di costruttivo ed intelligente.

Inoltre Ana, seppur proveniente da famiglia “per niente praticante”, non si cruccia per niente ad andare in una casa dell'Opus Dei. Qui in Italia - specialmente qui dalle mie parti - basta proferire le parole “scuola privata” per provocare scene di isteria collettiva (“la scuola dei preti! soldi tolti alla scuola pubblica! ingerenze vaticane!” e via fanfaronando), figurarsi il nominare l'Opus Dei o Comunione e Liberazione (ho già raccontato di come il mio parroco mi guardi allo stesso modo in cui zio Paperone guarda la Banda Bassotti entrata nel suo deposito).

Lei invece va lì e partecipa perfino a quelle cose religiose da “vita cristiana” che tanto scandalizzano molti parrocchiani d'Italia (anche qui avrei molto da raccontare; per esempio, recentemente avevo invitato un certo parrocchiano a venire a vedere il film Katyn: rifiutò sdegnosamente, sospettando che Katyn fosse un film ciellino con messaggi subliminali per far diventare ciellini gli spettatori).

Ana è stata poi capace di appassionarsi di un altro lavoro (assai più umile: “amministrazione domestica”) per lo spirito di servizio con cui veniva compiuto. Guardi gente che lavora, guardi come lavorano, e ti vien voglia di fare lo stesso. Cose come queste le ho sentite solo dagli amici dei Memores Domini... ed ora dalla Ana. Che si rende conto di non essere una “domestica” qualsiasi (cioè un prolungamento di qualche macchinario o utensile), ma si sente trattata come una persona e perciò si sente a casa propria. Sembra fare eco di ciò che don Giussani chiamava “dimora”. Si sente a casa propria, è trattata come una persona, lavora per Cristo anche in una mansione così umile, e riesce a farlo perché vede come lavorano le altre che stanno con lei. Sì, mi sembra di sentir parlare di una casa delle Memores Domini.

Infine, la foto con i suoi genitori. Che magari anche per lungo tempo non capiscono... ma che alla fine beneficiano della vocazione dei propri figli. Proprio quel che sta miracolosamente avvenendo ai familiari dei miei amici che sono entrati o stanno entrando nei Memores.

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(23.4.09)

 Nel paganesimo del ventunesimo secolo

Certe volte mi sento come uno dei “primi cristiani”.

Ho qualcosa di grandioso (cioè un briciolo di fede) che perciò vorrei trasmettere a tutti, vorrei annunciare a tutti, comunicare a tutti... Ma vedo tutti così impegnati nell'incensare i propri idoli, che quando mi va bene vengo ignorato.

Mi sento come uno dei “primi cristiani” - debbo utilizzare le virgolette perché di questi tempi chi pronuncia quel termine quasi certamente sta cercando di venderti i suoi idoli.

Talvolta ho la fastidiosa impressione che il popolo cristiano si sia disciolto in un'infinità di rivoli, ognuno concentrato su un aspetto secondario del cristianesimo. In tempi di grazia sarebbero forse “carismi”; invece, di questi tempi bui, quasi sempre è inevitabile parlare di riduzione del cristianesimo ad un suo aspetto secondario. “Carisma” è quello di don Bosco, che alla sua morte aveva spiritualmente generato seimila sacerdoti (senza contare il resto dei frutti); “carisma” non è lo scegliere un aspetto -pur buono- del cristianesimo ed elevarlo a misura totale del cristianesimo stesso (quest'ultima è generalmente l'operazione di marketing che fa “nascere” certi movimenti e associazioni).

Rabbrividisco al pensare che c'è gente che pensa di trasmettere la fede con una qualche operazione di marketing religioso, come per esempio il puntare sullo slogan del “siamo tutti peccatori”, o sul “diamoci da fare”, o sul “cantiamo e preghiamo”, o addirittura il promuovere la recita del rosario in parrocchia. Tutte cose giustissime, per carità, e dettate anche dalle migliori intenzioni, ma... sotto sotto si cede troppo spesso alla tentazione di “marketizzare” (non c'è troppo da meravigliarsi, in questa società di compratori e venditori).

Ho visto con questi miei stessi occhi il passaggio da “pietà cristiana” a “marketing religioso” negli occhi di una persona che pomposamente si interrogava sull'ipotesi che la sua “opera” fosse veramente “voluta da Dio”. Sotto sotto, aveva preso possesso della propria “opera”, attribuendone il successo alla “volontà di Dio” e l'insuccesso ai “peccati degli uomini”. Non aveva più lo sguardo di chi pensa “nulla mi è dovuto” (bisogna essere una santa Teresa di Lisieux per avere il coraggio di pensarlo ogni giorno).

Mi sento come uno dei primi cristiani, ma seduto in modo un po' più scomodo. I primi cristiani dovevano fare i conti con dei pagani agguerritissimi che però non sapevano nulla del cristianesimo ed erano almeno un pochino vulnerabili al “non puoi giudicare ciò che ti rifiuti di conoscere”. I pagani di oggi, al contrario, pensano di sapere tutto del cristianesimo. Così a quella persona non potevo parlare di verginità sperando di essere capito, perché oggi tale termine - anche in vasti settori della Chiesa - viene associato alla mancanza di atti intesi alla procreazione. Non potevo neppure parlare di pretesa e di possesso (che sono il contrario della verginità, anche se pochi cristiani lo sanno), poiché ero impedito dal politically correct clericale: quante volte, in vita mia, mi son sentito obiettare che non ho titoli di studio per poter affermare certe cose! (mi è accaduto esclusivamente nel parlare di temi religiosi!) Come se ci volesse una laurea di matematica ad Harvard per poter dire che due per due fa quattro! Come se il detenere una pergamena comprovante l'aver studiato un certo numero di vaccate, permetta gratis e ad libitum di considerare vaccate tutto ciò che dicono gli altri (specialmente contro i “ciellini”).

“Verginità”, cioè nessuna pretesa, nessun “possesso” (va a finire che devo spiegare anche “possesso”). Magari il più intelligente, in parrocchia, mi obietterebbe che “parlo col solito gergo ciellino” - e per la centesima volta dovrei spiegare che le parole più importanti del lessico cristiano oggi sono fraintese dalla maggioranza dei cristiani stessi, incapaci o incapacitati a riconoscerne il significato. Un “effetto Chernobyl”.

Mille rivoli di cristianesimo: anche se non lo avessi già, mi verrebbe il sospetto che questo dramma è cominciato nell'area del linguaggio, nell'aver ridotto il lessico cristiano ad una Babele di significati, banalizzando le parole, sfumando le espressioni, giocando con i concetti e con le parole. I sacramenti una volta erano sette: ora tutto è sacramento di tutto (“la Chiesa è sacramento di unità”), tutto è icona di tutto (“la Chiesa è icona di unità”), tutto è fonte e culmine di tutto (“la Chiesa è fonte e culmine del cammino di unità”)... Certe volte vien voglia di salire all'ambone e di gridare al microfono: “questa è una cagata pazzesca!” alla Fantozzi, con tutte le conseguenze del caso (rogo di tutto ciò che è anche lontanamente ciellino ed obbligo di parlare in “ecclesialese” fino all'età pensionabile), tranne forse i 92 minuti di applausi a causa dell'insulto al politically correct parrocchiale...

Il lessico cristiano viene ridotto a un parolame noioso e ripetitivo, affidato ai mutevolissimi venti delle mode pagane (“opzione preferenziale per i poveri”, “scegliere i più poveri tra i poveri”, e così la povera gente - cioè i poveri senza virgolette - viene completamente ignorata); si gioca con le parole (“per una pastorale di unità nel contesto di una società che cambia”: cagata pazzesca!), si inventano le parole ((“kenotico”, “sinodalità”, “kerygmatico”: cagate pazzesche!) e ognuno insegue i suoi vocaboli preferiti (“noi abbiamo la spiritualità del dialogo”: un'altra cagata pazzesca! che significa? che invece di pregare, chiacchierate tra di voi? che significa? che voi siete gli unici capaci di dialogare?) e via cianciando... Una cosa che mi faceva imbestialire (da tempo ci ho fatto il callo) era il sentirmi chiedere “ah, Comunione e Liberazione? e quale è il vostro specifico carisma?” e il dover resistere alla tentazione di dare una risposta senza nominare volgarmente certi attributi maschili.

Mi sento come uno dei primi cristiani ma sono circondato da sedicenti cristiani che hanno massacrato il vocabolario cristiano. Non hanno solo banalizzato: hanno anche censurato. Per esempio, la gente che mi ritrovo accanto in parrocchia non ha mai parlato della Risurrezione. Certi catechisti riescono a trattare i miracoli di Gesù con la stessa indifferenza con cui si scambiano aneddoti e gossip di attori del cinema (anzi, per questi ultimi si esaltano: “sai, tizia ora sta con tizio”). Dopotutto, quando “Gesù” diventa un discorso, cosa c'è mai da aspettarsi? Quando alle parole “incontrare Cristo” seguono “nel tuo cuore” pronunciate con sguardo perso verso il più insignificante degli angoli della sala, cosa c'è mai da aspettarsi?

Il nuovo paganesimo, insomma, è quello dei cristiani rincitrulliti. In una ipotetica scena alla Nanni Moretti, se qualcuno dicesse “dai, fa' qualcosa di cristiano”, isserebbero la bandiera del WWF.

Per questo mi accade spesso, anche al termine della stessa messa domenicale, di riflettere e di sentirmi come uno dei primi cristiani... solo un po' più scomodo.

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(19.4.09)

 Cosa significa veramente "umiliazione"

L'umiliazione non è quando qualcuno ti “diminuisce”.

L'umiliazione è quando pensi di aver fatto una cosa giusta e sacrosanta, dopo che tutto ciò che avevi visto fino a quel momento ti lasciava pensare che è vero, e al momento in cui finalmente arriva il giudizio inoppugnabile di chi ti fidi di più: “non va bene; non riprovarci mai più”.

L'umiliazione non è quel “non va bene”, ma quel “mai più”.

In cuor tuo sai che chi ha detto “non va bene”, semplicemente non ha capito il problema. Ma ci vorrebbe un tempo lunghissimo per spiegarglielo.

In cuor tuo sai che quel “mai più” è una sentenza definitiva. L'equivoco, grande o piccolo che sia, può scrivere pagine di storia, oppure può farti perdere una persona che non hai motivo di lasciare. Cosa scegli?

L'obbedienza è durissima, in questi casi.

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(15.4.09)

 Quei cori di CL

I cori di CL: non commento, invito solo a leggere.

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(12.4.09)

 Tutto dall'esterno

Non so se lo avevi mai notato.

Lo si nota specialmente nel campo pubblicitario.

Tutto ciò che ci promette piacere e felicità... è sempre “esterno” alla nostra vita; “esterno” nel senso di “qualcosa da comprare”, qualcosa di indipendente da te, qualcosa che non potevi immaginare e che “ora che lo sai” sei tenuto ad acquistare.

Abbocchiamo facilmente all'idea che la felicità giunga dall'esterno, proprio perché siamo definitivamente incapaci di darcela noi.

I tentativi di vendercela sono terribilmente banali... e terribilmente efficaci.

Le lotterie sono solo uno dei tanti casi. Nell'immaginario collettivo c'è la possibilità di accedere ad una ricchezza pressoché incommensurabile (interpretata come possibilità presuntivamente infinite, libertà infinite, soluzioni infinite a ogni problema passato, presente e futuro)... ad un prezzo quasi gratuito (attenzione al quasi: è il costo del biglietto; a suon di “quasi”, a lungo andare veniamo spennati completamente).

La ricchezza proveniente dall'esterno. La bellissima e disinteressatissima principessa innamoratissima di te e che ti seduce. Il ricchissimo premio che aspettava solo te per essere acquisito e goduto. Il potere che piove nelle tue mani senza che tu abbia altro merito che l'essere lì ad appropriartene.

Non sono solo miraggi costruiti allo scopo di ingannarci. Sono un sintomo di quella sete infinita che abbiamo in cuore.

Siamo talmente stupidi - non solo assetati, ma anche stupidi - da contentarci di surrogati.

Siamo talmente stupidi che, anche se truffati, presto abbocchiamo di nuovo. Dopo aver pagato il biglietto per partecipare alla lotteria, prima o poi ritentiamo. Con un altro biglietto, un'altra lotteria, un altro inganno.

Dopo aver scoperto che certe immagini di felicità non danno la felicità ma danno solo un senso di vuoto peggiore di quel che volevamo scacciare... finiamo per tornare a cercarle. Non so se hai presente il pensionato del pianterreno che con un'espressione di estasi ripete il valore del montepremi come se fosse una giaculatoria, come se il televisore che ha davanti fosse il Tabernacolo.

Quel “miracolo del cambiamento” eccita perfino il pensionato che non ha più nulla da aspettarsi. Il suo sogno più o meno inconfessato è tornare dai figli e dai nipoti, zeppo di milioni, e cavarne tutti gli elogi e l'affetto che non ha mai avuto, che nessuno ha mai avuto.

Sta regalando soldi a tanti impianti di fabbricazione di sogni... in attesa che un qualche sogno si compia. Uno qualsiasi, pur di tornare raggiante dai nipoti. Il sogno di ieri è diverso da quello di oggi, e domani cambierà ancora. Sempre lo stesso sogno, in mille sfaccettature. Vive per un sogno.

Difenderebbe a spada tratta il suo operato. Si giustificherebbe di fronte a chiunque. La vita non è sogno, ma lui ha deciso che è il sogno a guidare la sua vita (quanto è elegante questo ennesimo modo di “farsi uguale a Dio”!)

La realizzazione del sogno “viene sempre dall'esterno”. È sempre un dono immeritato e inaspettato, e che dovrà essere infinitamente più grande di come lo si era sognato.

In parole povere, il sognare è un domandare un surrogato della divina grazia.

Grazia di cui abbiamo una sorta di nostalgia. E che per la nostra stupidità (piuttosto: per la nostra inclinazione al male, inclinazione al lasciarci vendere surrogati) ci contentiamo di veder sostituita da un'immagine, cioè da un surrogato meschino e volgare. Desideriamo l'infinito e poi gareggiamo nel cercare qualcosa di finito: totalmente sragionando, totalmente pretendendo.

E quando qualcuno ce lo fa notare, finiamo per “giustificarci da soli”, cumulando sofismi e paroloni per dare una parvenza di razionalità al nostro operato. “Ma se poi vinco...” Oppure “se poi perdo questa occasione...”

Non solo la debolezza del cedere alle lusinghe, ma la presunzione di affermare che l'errore sarebbe la cosa giusta. La pretesa di “creare” la realtà.

Ci diciamo sempre che “stavolta è diverso”. Stavolta è proprio per me. Stavolta è la volta buona. Stavolta sono io a decidere, scegliere, guidare. Finiamo cioè per rifugiarci nei sogni. Quello che è il maggior indizio che abbiamo assoluto e totale bisogno della divina grazia, finisce per diventare la leva del meccanismo perverso che nega la realtà ed afferma il sogno, cioè in fin dei conti un rozzo pretenderci uguali a Dio.

La realtà è dura e noi siamo così furbi che ci mettiamo a sognare. Come i proverbiali struzzi che avvertendo il pericolo, nascondono la testa sotto terra per non vederlo. Che furbata.

“No, proprio ora non voglio sacrificarmi”: insinuiamo che l'ordinaria amministrazione sia un intollerabile sacrificio.

“Questa è la volta buona, lo sento”. La percezione delle cose sostituita dal sogno momentaneo, il quale a sua volta è sostenuto dal meccanismo della tentazione.

L'ultima menzogna, la più grande ed efficace, è quella della disperazione. “Non ce la posso fare ad andare avanti: dunque vado indietro”. Dichiaro a me stesso che l'errore non sta in me, ma nel resto del mondo. E diabolicamente mi tuffo nuovamente nel sogno. Cioè nell'errore.

La vita non è sogno. Si vive nella realtà, non nei sogni.

Il sogno non è desiderio. Il desiderio ha dignità, il sogno no. Sognare non significa desiderare (nonostante talvolta il termine “sognare” venga utilizzato per indicare il desiderio di compiutezza... perfino in certe parrocchie!)

E nei nostri desideri - anche nei desideri più immondi - c'è una sete di compiutezza, di giustizia, di felicità, di compagnia... sete infinita, che solo in Cristo può saziarsi. “Chi beve di quest'acqua non avrà più sete”.

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(2.4.09)