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(24.06.10)

 Un "Gloria" per quella bimba

Una extracomunitaria di pelle olivastra con una bimbetta tra le braccia. Un marito, o presunto tale, col quale sta discutendo.

Non capisco le parole di quella lingua che suona come il russo, ma deduco che parlano dei magri incassi della giornata.

La bimbetta serve solo come oggetto per suscitare commozione: l'ideale, in una società malata di buonismo. La madre-schiava raccoglie le offerte. Il padre-pappone, apparentemente più giovane di lei, sta seduto in disparte ad aspettare la consegna degli incassi, limitandosi fiaccamente a controllare da lontano.

A quella fermata scenderanno, e ripartiranno in direzione opposta. Avanti e indietro tutto il giorno: da mesi quel tratto è in esclusiva per loro, probabilmente assegnatogli da un capo-pappone.

La mamma-schiava alza la voce, ma per un po' il marito-pappone guarda altrove senza rispondere, neppure un monosillabo. Poi con un cenno della testa le comanda di riprendere il giro: la schiava non ha diritto di ribellarsi, e lo sa. La schiava si alza, cambia all'improvviso il tono, la sua voce ridiventa stancamente dolciastra e cantilenante: ha ripreso a chiedere soldi alle stesse persone sedute lì in fondo, me compreso.

Mi accorgo finalmente che la mascotte calamitasoldi non è un bambino ma una bambina: ha gli orecchini. Avrà pochi mesi e chissà quanti chilometri avrà già macinato.

Il controllore è lì a due metri, ma ci ignora, sembra non accorgersi che siamo lì. Non vuole perdere il posto. Teme di vedere il suo nome in prima pagina sul Corriere di domattina: “controllore sospeso per razzismo, molestava viaggiatori extracomunitari” (chiedendo, come da regolamento, di visionare il titolo di viaggio ed applicare le sanzioni previste in caso di irregolarità: ma oggi leggi e regolamenti non valgono per gli extracomunitari, neppure per quelli che fossero incapaci di rappresaglie; il politically correct serve solo ad opprimere gli onesti).

Mi accingo a scendere. Con lo sguardo incrocio per un'ultima volta quella bimbetta. Ho abbastanza rabbia per imprecare e per raccontare di lei sul blog, della sua futura vita da bestie, destinata a restare schiava fino alla morte, vivendo di accattonaggio per contentare una gerarchia di papponi. Di fronte a tanta miseria ho una sola arma, potentissima e silenziosissima.

Recito mentalmente un Gloria Patri per quella bimbetta. Per la vocazione di quella bimbetta, perché il contrario della schiavitù e della disumanità è la felicità risultante dal donarsi interamente a Cristo. Recitando lentamente, con decisione, come un orefice che ripara un prezioso orologio da polso, e la prima immagine che mi è venuta in mente era un velo nero, in un parlatorio, forse di clausura benedettina. Chissà.

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(23.1.10)