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Attenzione: Blogspot ha cambiato l'indirizzo (link) di ognuna delle pagine di questo blog, per cui i link che avete creato fino a tutto il 2009 quasi certamente non funzioneranno.

(24.06.10)

 Sul mestiere di scrivere

Breve ma chiaro articolo di don Jonah sul fenomeno Facebook.

Mi sento chiamato in causa perché utilizzo anch'io Facebook e sentirne parlare da qualcuno che condivide l'esperienza del movimento è un milione di volte più interessante del solito opinionismo svaccato.

La lettura dell'articolo mi lascia a bocca aperta per la considerazione sui rapporti umani, introdotta da una citazione di uno sconosciuto (per me sconosciuto) direttore d'orchestra: “Ascoltare un disco è come andare a letto con una foto di Brigitte Bardot”. Ripenso all'iPod imbottito di musiche della collana Spirto Gentil.

Almeno una cinquantina di pagine di questo blog sono più lunghe di quell'articolo. Talvolta anche del doppio. Don Jonah Lynch riesce però a dire molte cose in poche frasi. Frasi semplici, che mi colpiscono.

Altrove, mi disperavo: “benedetta capacità di sintesi, dono tanto prezioso quanto raro”. Il suo stile non è semplicemente sintetico. È uno stile che mi colpisce perché sa scrivere, sa comunicare, sa farsi capire. E sa sintetizzare, sa evidenziare.

Non ho appreso nulla di nuovo da quell'articolo, a parte quella grandiosa citazione. Ma resto a bocca aperta perché lui sa comunicare. Con la lingua di Dante ha più dimestichezza lui straniero che io madrelingua. Non vedo l'ora di leggere i suoi successivi articoli sul caso Facebook.

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(28.5.09)

 A proposito di movimenti

L'11 febbraio 2002 Giovanni Paolo II scrisse a don Giussani per il ventennale del riconoscimento pontificio di Comunione e Liberazione: «il movimento ha voluto e vuole indicare non una strada, ma la strada per la soluzione del dramma esistenziale dell’uomo. La strada è Cristo».

Mi sembra che questa sia la miglior definizione possibile di “movimento ecclesiale”.

Non un progetto, non una particolare spiritualità, non un club, non “una” strada.

Comunione e Liberazione c'è perché indicando Cristo, il don Giussani si è ritrovato un popolo.

Don Giussani non ha mai inteso fondare niente: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta».

Ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, senza fabbricare nuove spiritualità, senza esaltare determinati aspetti sperando di cavalcare qualche moda (“elementari” non significa “archeologici” o “esotici”).

Ritornare alla passione del fatto cristiano come tale, nei suoi elementi originali, e basta.

Purtroppo non sono così tutti i movimenti ecclesiali e le nuove associazioni.

Fatte salve le buone intenzioni, ho spesso la forte impressione (relativa non solo alla mia parrocchia) che certi movimenti e certe associazioni inseguano il proprio prestigio e il proprio incremento numerico. È una tentazione presente perfino in certe teste cielline, nonostante il don Carrón (al pari del don Giussani) se ne sia sempre infischiato dei numeri e delle mode.

Purtroppo, in quanto “ciellino”, non posso dire in pubblico queste cose senza ricevere l'immediata e stupida accusa di conflitto di interessi. È già avvenuto in diverse occasioni in cui tentavo di far presente, nella massima onestà, qualche problema relativo ai movimenti ecclesiali.

La vita ecclesiale è stata ridotta a marketing. “Il mio gruppo ha più soci del tuo, la mia associazione ha promosso la tale iniziativa, alla mia celebrazione c'è più gente che alla tua...” Pochi stupidi vivono così, e tutti gli altri ne pagano le conseguenze.

Ma c'è anche il problema dello sforzarsi di seguire un improbabile carisma. Il movimento tal dei tali ha “riscoperto” questa cosa, l'associazione tal dei tali propugna la “riscoperta” dell'altra cosa, e così via. Certi movimenti sono tutta una “riscoperta”, intesa come ricetta magica che applicata alle persone produce automaticamente cattolici impegnati. Ma una posizione anche più patetica è quella dei fanatici del parrocchialismo, tutti protesi a difendere l'indifendibile (i movimenti esistono proprio perché tantissime parrocchie sono aggregazioni insipide e noiose, come già diceva Bernanos).

Seguire l'improbabile carisma di qualche fondatore (cioè seguire una qualunque “riscoperta” alla moda) diventa perciò un faticoso attivismo.

L'unica cosa che non diverrà mai di moda è il tornare agli aspetti elementari del cristianesimo, «vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta». Non è un attivismo, non è un intellettualismo. Non è un semplicismo, non è un complicazionismo. Non è qualcosa da aggiungere alla propria vita di fede per ravvivarla.

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(26.5.09)

 I post che non ho scritto

Avrei voluto dedicare un post ad ognuno di questi argomenti, ma non c'è mai stato tempo.

La tautologia delle ripetizioni scolastiche: per pigrizia non avevi studiato, ed ora paghi per la tua pigrizia, tenti di comprare un rimedio alla tua incompetenza.

Quelli che si dichiarano atei sono in realtà adoratori del dio StoBeneCosì, le cui cinque virtù (lussuria, usura, lussuria, potere, lussuria) sono esattamente il contrario delle virtù cristiane (castità, povertà, obbedienza). Loro, naturalmente, non chiamano “usura” la loro avidità di ricchezze, non chiamano “potere” la loro prepotenza. E sono costretti a fingere di non accorgersi che quel StoBeneCosì è la più profonda menzogna che si può dire del cuore umano.

Durante il viaggio il bambino viziato legge un libro illustrato e dalla copertina sgargiante. Il libro si intitola “Goal”, sulla copertina è raffigurato un eroico calciatore durante la sua abituale prodezza. Sua madre, di quando in quando, gli somministra un elogio: ma che bravo bambino, ma che bel libro che stai leggendo, ma che bella azione da goal. Se l'Italia è nelle tristissime condizioni che conosciamo, lo dobbiamo a questo patetico metodo educativo: bambini drogati da complimenti crescono in un ambiente dove l'onore, la cultura e l'eroismo hanno a che fare solo col pallone.

Settimana santa: visitina all'altare della Reposizione, ad esprimere solidarietà al Santissimo Sacramento impacchettato ed infiocchettato in modo idiota. La sagra del kitsch in parrocchia. Può essere difficile definire cos'è il bello, ma è pressoché sempre facilissimo riconoscere cos'è il brutto. La carenza di fede si vede anche dalla carenza nel riconoscere il brutto come brutto.

La signora benestante e annoiata vuole andare in quel paese esotico dall'altra parte del pianeta a ritrovare sé stessa. La sua domestica, proveniente proprio da quel paese, annuisce. Non vuole perdere il lavoro e perciò annuisce, evitando di ricordare quali pericolosi animali e quali pericolose malattie potrebbe trovar lì mentre “ritrova” sé stessa e mentre tenta di guarire dalla noia. Ma ho il sospetto che tragga più piacere nel parlare dei propri sogni che nel realizzarli.

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(24.5.09)

 Protestanti travestiti da cattolici

Uno dei più grossi problemi della Chiesa da mezzo millennio a questa parte è costituito dal sostituire le cose serie della fede con bocconcini di religiosità alla moda.

Una donna di buon cuore che ho conosciuto qualche tempo fa mi ha aggiunto alla sua mailing-list in cui diffonde notizie ed insegnamenti di uno sconosciutissimo religioso d'oltremare, di cui lei è devota perché è stato l'unica alternativa alla sua vita di noia.

Il religioso, certamente armato di buone intenzioni, propugna letturine bibliche e meditazioni orientaleggianti avvolte in un linguaggio così sdolcinato da far sembrare death metal le cartoline di buon compleanno in vendita dal tabaccaio.

Se costui fosse intelligente, capirebbe che il suo pur minuscolo successo è dovuto alla confusione e al neonichilismo che oggi regnano.

Leggendo il testo di una di quelle catechesi (una vera sfida all'insonnia) ho notato anche lì il Nuovo Trucco dei Protestanti Travestiti da Cattolici: è una di quelle cose di cui non avevo mai parlato, per evitare di stuzzicare chi non ci avesse ancora pensato, ma temo che ormai il trucco sia ormai istituzionalizzato. Cioè del parlare a ruota libera ricordandosi però di aggiungere nell'ultima riga un generico riferimento alla Madonna in modo da sembrare cattolici.

La quasi totalità di quella catechesi era infatti una mistura equivoca di Antico Testamento, sentimentalismo, orientalismo e altre mode di oggi. Vi si parlava di un “Dio” generico e lontano, e del dover seguire determinate regole.

Certe volte mi verrebbe da proporre: aboliamo il termine “Dio” dal lessico cattolico. Quelle tre lettere, oggi, vengono interpretate come un'entità generica, lontana, incomprensibile, fastidiosa. A chi ha un'idea confusa su Dio, non si può dire “Dio ti ama” sperando che capisca; così come non si può dire “integrale doppio” a chi a stento sa fare le moltiplicazioni.

Per chi ha idee religiose confuse (cioè per la maggioranza della popolazione), poche cose risultano più fastidiose del sentirsi dire “Dio ti ama”. Per chi faticosamente sta affrontando problemi seri (salute, lavoro, famiglia), la frase “Dio ti ama” può avere lo stesso peso della frase “l'oroscopo ti promette fortuna”.

Dopo un discorso alquanto noioso e disarticolato, nelle ultime due righe di quella catechesi arriva la sorpresa: viene nominato “Cristo”. Naturalmente anche il Nome tre volte santo, in quel contesto, evocava piuttosto una figura incomprensibile e lontana. Sembrava quasi che l'autore della catechesi avesse per caso ricordato che bisognava nominarlo, per evitare di apparire come il fautore di una delle tante religioni non cristiane.

Infine, nell'ultima riga, si chiedeva l'intercessione di una generica “Maria”, senza che il testo tentasse di far capire cosa c'entrasse con tutto il resto.

Novantotto righe di religiosità generica e sincretina, una riga per nominare il Figlio di Dio quasi dimenticato e un'ultima riga per aggiungere di forza anche il nome della Beata Vergine.

Anche costui dev'essere uno di quei preti che usano il nome dell'Assunta in Cielo solo come marker di segnalazione per far capire che la predica è terminata, un po' come quando al termine di un film c'è scritto The End.

Nel vasto supermarket delle religioni si trova sempre qualche “novità” (cioè qualcosa che si autodefinisce tale), specialmente tra gli scaffali del cattolicesimo. In tanti, anche preti cattolici, tirano fuori dal cilindro uno o due termini dal lessico cattolico, li imbottiscono di novità alla moda e fondano qualche “riscoperta” di qualche cosa, attingendo adepti tra i fedeli cattolici annoiati dalla parrocchia.

Il meccanismo, in fondo, è quello del senso religioso: “seguitemi! Vi dirò io come si giunge a Dio”. Magari via mailing-list. E così, dopo che l'istituzione parrocchia ha sostanzialmente abdicato al suo scopo (riducendosi spesso ad un agglomerato di attività di cui nessun ateo avverte nostalgia), sorgono i “movimenti” e le “nuove associazioni”, non tutti buoni come Comunione e Liberazione (vedi nota).

Sorgono infatti anche degli autoeletti maestri intenzionati (benintenzionati) a salvare la Chiesa dall'epidemia religiosa, pensando che basti il marketing e la religiosità generica.

Il sacerdote di cui sopra, se togliesse le ultime due righe (di cui si avverte la forzatura), potrebbe far carriera in un qualsiasi ambiente protestante o semplicemente deista, alla sola condizione che i destinatari delle sue catechesi non siano ostili alle mode.

Ma il combattere l'epidemia religiosa con simili ritrovati è la stessa cosa che tentare di guarire un drogato regalandogli sempre più droga.

La prima cosa di cui hanno bisogno oggi molti cattolici delle parrocchie è un buon motivo per continuare ad essere cattolici e per continuare a frequentare le parrocchie nonostante tutto.

Non hanno bisogno di sentirsi dire “Dio ti ama” o una qualunque altra frase fatta proveniente dal linguaggio ecclesialese. Piuttosto hanno bisogno di sapere perché continuare a frequentare i sacramenti, perché la Chiesa, perché la pretesa cristiana. Soprattutto hanno bisogno di vedere: “cercate ogni giorno il volto dei santi”.

Solo che quando tento anche minimamente di accennare al parroco qualcosa del genere, mi sento rispondere: “vuoi insegnare a me come si fa il parroco?”

(Nota: Giovanni Paolo II scrisse a don Giussani: «lei ha voluto indicare non una strada ma la strada, e la strada è Cristo». Riconoscimento notevolissimo ma che rappresenta implicitamente anche una condanna di tutti quei movimenti ed associazioni ecclesiali nati per propugnare una particolare spiritualità - “una strada” - e ridottisi poi a dei club la cui principale preoccupazione pare talvolta il solo aumentarsi il prestigio ed il numero di aderenti).

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(23.5.09)

 Si volta pagina: il lieto fine che lascia un vuoto dentro

Ho terminato un'altra serie anime, disegnata in modo “moderno” (meno barocca della generazione precedente) e densissima dal punto di vista umano. Ancora una volta rifletto sul senso religioso.

Nonostante il cosiddetto lieto fine emerge prepotente allo spettatore la solitudine dei personaggi, tutti ancorati ai propri desideri e amori. I protagonisti, come al solito, sono tutti giovani. Con le ultime scene dell'ultimo episodio si avverte quella sensazione del “voltare pagina”, come se tutto ciò che hanno finalmente compiuto passasse da un momento all'altro nella categoria dei bei ricordi: sono diventati “adulti”, perciò “devono” lasciare quelle cose nei bei ricordi.

Per chi se ne rende conto, non c'è niente di più drammatico nella vita che l'aver raggiunto i propri obiettivi e vederli diventare in un attimo un caro ricordo. Per esempio, per un universitario, quell'attimo è l'applauso al momento della proclamazione, il momento in cui passa da studente a laureato e sente affiorare dal cuore la domanda: “ed ora?”, prontamente sedata da preoccupazioni, festeggiamenti, progetti per il futuro...

Dopo un po' di questi “ed ora?” viene il momento in cui ci si accorge di essere vecchi, cioè non si capisce per cosa si è vissuto. Hai raggiunto e conquistato già tante vette... “ed ora?”

Nella cinematografia occidentale questa sensazione viene elusa mediante banalizzazione (sentimentale, comica o altro). Negli anime giapponesi, che come plot e caratterizzazione hanno parecchio da insegnare all'intera Hollywood, quella sensazione non viene elusa perché... sono così ben fatti che non riescono ad eluderla.

Cesare Pavese è un esempio grandioso di come ci si rende conto che la solitudine è già indizio sufficiente per postulare qualcosa di più grande, di “esterno”, di “risolutore”. Gli autori giapponesi degli anime che commento in queste pagine non hanno letto il Diario di Pavese, eppure tendono involontariamente allo stesso struggimento (e anche quando ciò avviene per motivi commerciali, significa che hanno una platea capace di capirlo; non come i barbari italiani, dotati di una cinematografia criptica, psicotica, sentimentalistica, deprimente, banalizzatrice, quando non semplicemente volgare e idiota).

La risposta a quella sete di compiutezza è la grazia divina. Chi ha creato il cuore dell'uomo, sa bene cosa ci vuole per saziarlo, sa bene quale è l'ingrediente mancante che fa diventare degna di essere vissuta anche una vita di sofferenze e di sacrifici. Quelle risposte concrete ce le abbiamo tutti a portata di mano: basta saper accettare quel dono così com'è (così com'è).

Se affiora la domanda “ed ora?” vuol dire che gli occhi sono stati chiusi perché non si vuole più guardare. Malinconia, nostalgia, solitudine. “Ed ora?” Per il poco di vita che ci è dato, non possiamo vivere di “conquiste” (anche quando non siano frutto di pretesa o di inganno), perché presto o tardi quella odiosa domanda affiora prepotente. A che serve una vita fatta di obiettivi decisi dalle circostanze e più o meno “raggiunti”?

Basterebbe questa sola domanda (retorica) per arrendersi all'evidenza: lo scopo della vita è Cristo.

Chi vive per Cristo, non rischia mai di vedere quella domanda “ed ora?” affiorargli dal cuore, nonostante le cadute, nonostante le fatiche, nonostante gli obiettivi miseri (e magari pure non raggiunti), perché “chi beve di quest'acqua non avrà mai sete”.

Nei migliori anime giapponesi emerge quella sete che qui in Italia nessun autore contemporaneo sa riconoscere e mostrare (per questo sono costretto a citare Pavese): i protagonisti degli anime, anche se belli, bravi, intelligenti, tradiscono involontariamente quella sete nella misura in cui sono ben caratterizzati. Diventa davvero facile osservare che ai giapponesi manca Cristo.

Agli italiani, invece, par mancare solo la solita lista di azioni corporee - cibo (ma non per nutrirsi) e sesso (ma non per procreare), per lo più guardato o parlato. La tragedia, in questo caso, è che non si avverte un vuoto, perché lo si narcotizza con mille cose, per lo più banalità televisive.

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(6.5.09)