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(24.06.10)

 Paura di una "fede piccola"?

Non avere paura. Se la tua fede ti sembra piccola, non avere paura, perché Gesù ha detto “ti ringrazio, o Padre, perché ti sei rivelato e fatto conoscere dai piccoli e dai semplici”. C'è tanta gente che ha grosse lauree in teologia e filosofia... e poi ha talmente poca fede, che va insegnando stupidate che vengono condannate perfino nel catechismo dei bambini. In questi giorni c'è tutto un dibattito su un libro pubblicato da due ecclesiastici, che pretenderebbe di dare la Comunione anche ai divorziati che dopo il divorzio fanno la cosiddetta “bella vita”, infischiandosene della sacralità del matrimonio e della serietà dei sacramenti.

La fede vera è quella semplice, essenziale. Nennolina (Antonietta Meo), morta a sei anni e mezzo di età, già scriveva le letterine “ti voglio bene Gesù”. Aveva già capito tutto, aveva già una grandissima fede. Stanno facendo la sua causa di beatificazione. A sei anni aveva già capito tutto, una fede semplice ma grandissima.

Tutte le sofferenze che passiamo in questa vita, è come un conto in banca nell'aldilà. Quando saremo nell'aldilà lo riscuoteremo con gli interessi. La ricordi la parabola di Lazzaro? Il ricco epulone finisce all'inferno (perché nella vita ha pensato solo ad ingozzarsi e a infischiarsene degli altri), e il povero Lazzaro invece finisce nel posto migliore del paradiso (Gesù dice “fu accolto in seno ad Abramo”: per gli ebrei che ascoltavano Gesù, non c'era complimento migliore che si potesse fare, cioè essere accolti paternamente dal capostipite Abramo).

Quindi, anche stavolta, come vedi, il Vangelo parla di te, è dalla parte tua, e ti dice di non disperarti mai, neppure di fronte a dolori e delusioni che oggi non riusciremmo nemmeno a immaginare. La felicità dell'aldilà è così grande, che possiamo già in questa vita cominciare ad assaporarla. Quando fai la comunione, quando ti confessi, quando ti viene amministrato il sacramento dell'unzione degli infermi, vedi che da qualcosa di “materiale” (la materia del sacramento) ti giunge la forza spirituale per andare avanti.

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(30.6.09)

 Le cose che davvero contano

Una volta fui pubblicamente ridicolizzato per aver utilizzato la parola “esperienza” senza darvi l'accezione fumosa che da mezzo secolo va di moda (solo don Giussani e pochi altri non sono stati alla moda).

L'ecclesiastico seguì il mio brevissimo intervento con smorfie appena celate e appena ebbi finito di parlare cominciò con “sì, ma...” e fece una requisitoria contro l'esperienza per dire che la fede è una cosa che si “sente”, che l'esperienza “è importante, ma...” e via di questo passo.

Mi servì di lezione, per ricordarmi che esistono anche dei cattolici cretini, cretini perché pensano che la vita di fede sia un elenco di cose da fare (elenco mutevole a seconda delle mode dominanti), tra le quali torreggiano il “porsi in ascolto” della Bibbia (inteso come elucubrazioni estemporanee) e l'effettuare attività in sagrestia.

Ma sono davvero quelle le cose che contano? Sono davvero quelle le cose che “attraggono i giovani” verso la fede?

Si potrebbe leggere come risposta (su Tracce) quel breve resoconto dell'incontro del cardinal Caffarra con gli universitari del CLU (Comunione e Liberazione universitari).

La parte centrale del testo è quella che più dovrebbe colpire: quella delle testimonianze. “Mi fa vivere la fede diversamente”. Suscita il “gusto” dello studio. “Ritrovato vivo” un cambiamento nella vita, un “atteggiamento di domanda”... In poche (e non cielline) parole, testimonianze di fede viva, non ridotta a un banale elenco di cose da fare e non fare. Non astruserie fumose da “sentire”, ma esperienza.

Alla conclusione dell'incontro, la recita di una decina del Rosario.

A me sembra tutto normale. Dico: è normale che il movimento di Comunione e Liberazione dia frutto (questo è anche il motivo per cui sono “ciellino”).

Gusto dello studio, fede che permea la vita (“atteggiamento di domanda”)... Non hanno avuto bisogno di impegnarsi in sacrestia per ritrovarsi così, non hanno avuto bisogno di letture bibliche.

Se ripenso a certe iniziative parrocchiali e diocesane... divento ancora più “ciellino”.

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(28.6.09)

 Mi sento ignorata da Dio

Una visitatrice di passaggio giunge sul mio blog cercando la frase mi sento ignorata da Dio.

Una volta queste parole le andavano a dire al parroco. Oppure, se non si fidavano del parroco, andavano dall'amica suora. O almeno da qualche persona che sapevano essere di grande fede (nei momenti drammatici, a chi puoi chiedere consiglio?)

Oggi si chiede consiglio a... Google.

23 giugno, ore 18:15: san Google, aiutami tu: “mi sento ignorata da Dio”. Risposta: eccoti il blog ucciellino... Solo che Google non è santo e facilmente sbaglia pagina: invece di fornire qualche pagina decente finisce per fornire qualche pagina di lamentela.

Mancando una compagnia vera (una compagnia vera, non una compagnoneria o una complicità o una simbiosi unione di due comodi), sembra mancar tutto. Ci si sente “ignorati da Dio” (e come farebbe mai Dio ad ignorare, visto che Dio è l'essere perfettissimo, fonte di ogni santità e virtù tra cui il ricordarsi di noi poveracci?)

Al posto di Google avrei tentato una risposta cruda: ah, sì? Ma non avevi cominciato tu, ad ignorare Dio? Solo che il termine “Dio” mi sembra troppo generico. Cos'è “Dio” per te? Puoi gentilmente qualificare “Dio” e i motivi per cui avrebbe deciso di ignorarti? Cosa avverrebbe se Lui non ti ignorasse?

Dopo un po' di ragionamenti verrebbe fuori che la chiave di volta è quel “sento”. Una sensazione. Un percepire la propria solitudine. Come diceva don Carrón, “o Dio, meno male che certe volte mi manchi! altrimenti mi dimenticherei di Te!” (come al solito tutte le cose più intelligenti che so citare vengono dal movimento).

Solitudine. Dunque non è alla ricerca di una spiegazione - anche se una buona spiegazione potrebbe aiutare un pochino; ma tutta la spiegazione che serve è già data, è già tutta nell'insegnamento della Chiesa (peccato che oggi non siano troppi ad esservi onestamente fedeli).

Non una spiegazione ma una compagnia. Non una risposta da Google o da catalogo Postal Market, ma una compagnia vera. Ci si può sentire soli e “ignorati da Dio” anche allo stadio (attorniati da centomila persone che la pensano come te). Ci si può sentire soli e “ignorati da Dio” anche se si è “felicemente” fidanzati o sposati. La compagnia vera è qualcosa di più grande. Non si costruisce, ma si riconosce, si incontra.

E se non c'è ancora, l'unica possibilità è domandarla (attraverso la preghiera). Domandare una compagnia vera, una “compagnia guidata al destino”.

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(24.6.09)

 Il corpo delle donne

Per scaricare il documentario Il corpo delle donne (25 minuti, formato FLV) ci sono volute parecchie ore ma ne è valsa la pena; ora potrò farlo vedere al gruppo dei giovani della parrocchia.

La vera pornografia, oggi, non è quella qualificata come tale. La vera pornografia oggi è la massificazione del corpo delle donne.

Sorrisi e ammiccamenti nascondono il vero significato della “liberazione” della donna: la donna è mercificata. È ridotta ad un oggetto da utilizzare.

Davvero un documentario degno di nota, da vedere e da far vedere e da discutere. Senza nessuna citazione “religiosa”.

“Oggi sono io il prodotto”, dice una donna orgogliosa di essere imprenditrice di sé stessa.

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(24.6.09)

 Ipocrisia: il pilastro che regge il mondo

La società moderna (ma in generale qualunque società scristianizzata) è tutta fondata sull'ipocrisia. Provo a dare qualche esempio.

Un film osceno è “solo per adulti”: come se a 17 anni e 364 giorni fosse peccaminoso e a 18 anni e 000 giorni diventasse accettabile.

Del resto, questa non è la stessa società dove vigeva l'obbligo del casco fino al compimento dei diciott'anni? Se a 18 anni e 000 giorni si casca dallo scooter, per legge non c'era più lo stesso rischio di rompersi la testa rispetto al giorno prima.

“No, ho già due figli, mi fermo”: cosa significa “mi fermo”? La confusione tra sesso e bellezza. La confusione tra sesso e amore. La confusione tra sesso e soddisfazione. Tutto è riducibile al sesso. Ma no, “ho già due figli: mi fermo”. Cosa, cosa? Mi “fermo”? Cos'è che veramente “fermo”?

E poi i vestiti che invece di coprire, scoprono; invece di proteggere, mettono in mostra (specialmente le masse lardose e adipose). La femminilità ridotta all'omologazione di curve da esporre. “Guardami, vado puttaneggiando anch'io: come ti sembro?”

L'aborto diventa “interruzione di gravidanza”: come se il cambiare il nome all'omicidio lo renda meno violento e meno abominevole.

Le “fasce protette” della TV: così, chi vuole qualcosa di osceno, deve semplicemente cercarselo nelle ore più tarde (oppure su un altro canale durante quelle stesse fasce “protette”).

Ipocrisia, ipocrisia dappertutto. In farmacia, uno accanto all'altro, il banco dei preservativi e del pre-maman (quest'ultimo dedicato ai bimbi che non sono stati uccisi a causa di presunto labbro leporino o per faccende ancor più ridicole).

Ipocrisia, fondamento di tutto. Il politically correct. Il criminale che si appella alla cosiddetta presunzione d'innocenza perché fino al pronunciamento della Cassazione non sei ancora “ufficialmente” criminale, anche se fosse già evidente a tutti.

Il gioco d'azzardo “legalizzato”: la morale è diventato uno dei tanti campi su cui stringere accordi commerciali e legiferare. Ieri era un crimine, oggi è una cosa normale, protetta dalla legge.

I “gratta e vinci”, matematicamente disonesti (nel senso che il montepremi non è nemmeno lontanamente proporzionale alla probabilità di vincita), che illudono e dissanguano gli italiani più poveri (una media di ottocento euro l'anno per ogni italiano, inclusi lattanti e monaci di clausura ed incluso il sottoscritto che in vita sua non ne ha mai comprato neppure uno). L'ipocrisia del rendere “legale” qualcosa di immorale.

Al tempo della legge Merlin si liberarono “duemila schiave del sesso”: oggi il numero di schiave del sesso è molto più che centuplicato: le prostitute non bastano mai, bisogna importarle dall'estero. Ipocrisia al contrario: anziché “liberarle”, si è liberalizzato il mercato della carne umana.

Figurarsi: combattere la prostituzione? E allora perché non bombardare i ripetitori TV, che trasmettono ad ogni ora del giorno modelli “puttaneggianti” anche nelle fasce protette?

Se una ragazzina sogna di diventare “velina” (cioè una che lucra nell'esporre le proprie nudità: tutto sta nell'essere invitata a qualche “festino” di qualche personaggio “importante”), è perché anni e anni di TV (tre, cinque, otto ore al giorno di TV, per anni interi, decenni interi, ai genitori prima e a lei adesso) le hanno insegnato che essere “bella” significa essere “richiamo sessuale”.

Il declino di un popolo comincia col declino della sua morale.

Un popolo distrutto: odia la Casta, ma la foraggia coi gratta-e-vinci, che in realtà andrebbero denominati gratta-e-impreca, gratta-disperandoti, gratta-e-intristisci. Ottocento euro l'anno in media su ogni italiano.

Un popolo annichilito, il cui principale gran Maestro da cui apprendere lezioni di vita è la TV, che ti fa capire che “la vita” è sballarsi, che “bellezza” significa praticamente prostituzione.

Quarant'anni fa, in tempi non sospetti, san Pio da Pietrelcina diceva che “il demonio è entrato in tutte le case” grazie alla televisione.

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(23.6.09)

 Sulla sofferenza e sulla guarigione (e sul "perché non ha sanato almeno me?")

Quel “qualcosa che viene da fuori” non può essere prodotto umano. Può essere solo la grazia di Dio, e l'unico modo di appropriarcene, è di frequentare i sacramenti. A costo di sembrare seccanti ai sacerdoti che ce li devono amministrare.

Quando Gesù passava per le strade della Palestina e risanava la gente dalle malattie più diverse, ci saranno stati certamente alcuni che per un motivo o per l'altro non sono stati sanati.

Per esempio, non erano lì quel giorno, oppure non hanno voluto avvicinarsi a Gesù perché avevano sentito dai farisei che quell'uomo doveva essere un impostore. Oppure il caso di quelli che quando hanno avuto notizie di Gesù (le notizie viaggiavano lente, mica c'erano TV e internet), Lui era già morto e risorto e asceso al Cielo...

Gesù però guariva il corpo solo per risvegliare l'anima. Quei miracoli mettevano alla prova la fede della gente. Al paralitico che gli calano dal tetto, la prima cosa che dice è: “ti sono rimessi i tuoi peccati”. Se quel paralitico non avesse avuto fede, allora avrebbe risposto adirato: “tutto qui? non mi guarisci? ero venuto per guarire, e tu mi parli di peccati?”

Alla cananea Gesù dice: “non è bene che una mamma getti ai cagnolini il pane riservato ai bambini”. Quella donna, se non avesse avuto fede, avrebbe risposto: “ma come ti permetti? definisci «cani» me e mia figlia?” (e i giudei che stavano intorno avrebbero sghignazzato, fregandosi le mani, sgomitando tra loro, dicendosi: “evviva! lo abbiamo sempre detto che gli stranieri non hanno fede!”). E invece la cananea risponde umilmente: “ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono giù dal tavolo dei bambini”. E viene accontentata.

Però quelli sanati da Gesù sono solo una piccola percentuale di quelli che nel mondo dell'epoca erano malati. Magari in tanti si saranno detti: “ma come? Gesù ha risuscitato Lazzaro che era già morto e puzzava di cadavere, e non è qui a guarirmi la gamba rotta?”

C'è addirittura un caso in cui Gesù guarisce dieci lebbrosi, e solo uno di loro torna a ringraziare. Gli altri, avuta la guarigione, se ne tornano sulla loro strada. Magari quello con la gamba rotta era proprio uno di quei nove ex lebbrosi ingrati. Quando torna lì dove aveva sentito che Gesù aveva compiuto miracoli, non avrà trovato più nessuno: gli dicono che Gesù è andato a predicare altrove. E magari lui, già dimenticando la precedente guarigione, guardando la sua gamba comincia a imprecare: “quanta fatica m'è costata venire fin qui con questa gamba rotta, e ora non posso essere guarito!”

Quelli che si facevano una domanda del genere (“perché Gesù non è qui a guarirmi?”) non avevano capito il motivo per cui Gesù guariva. E non avevano capito che se Gesù non guarisce tutti è perché per alcuni la guarigione può essere motivo di peccato, di orgoglio, di ingratitudine, di trascuratezza nella fede, di pericolo (anche lontano) per l'anima...

E non avrebbero neppure capito che Lui ha sofferto più di tutti noi in croce, e perciò terrà conto di ogni nostra più piccola sofferenza. Chi soffre in questa vita, verrà ampiamente ricompensato nell'altra. Ciò che conta, in questa vita, è assicurarsi la fede, mendicare la divina grazia. Tutto ciò che fai e che vivi vale infinitamente di più perché hai questa lunga serie di sofferenze nella tua vita, sofferenze che non ti sei cercata e che volentieri toglieresti se si potesse fare.

Quando un giorno ci presenteremo al cospetto del Signore, ci sentiremo dire: “tu hai tanto sofferto nella tua vita terrena...” Ed a quel punto ci ricorderemo cosa abbiamo fatto nella sofferenza.

Abbiamo odiato tutto e tutti? Oppure, nonostante la sofferenza, abbiamo continuato a mendicare la grazia di Dio?

Abbiamo considerato la nostra sofferenza come una scusa per non amare Cristo? Oppure, nei nostri limiti, nelle nostre difficoltà di tutti i giorni, nel nostro piccolo, abbiamo amato Cristo?

In paradiso ci vanno le anime semplici, quelle che si ostinano ad amare Cristo nonostante le difficoltà della vita. Il primo a seguire Gesù in paradiso è stato il “buon ladrone”; invece di lamentarsi per la sofferenza, come faceva l'altro ladrone crocifisso lì, chiede a Gesù di portarselo con sé nel suo “Regno”.

La sofferenza ha un senso che raramente sappiamo cogliere.

E quando la sofferenza è innocente vale ancora di più, infinitamente di più.

C'è qualcosa che viene “prima”, prima della salute, dei soldi, dell'avere una bella famiglia, una bella moglie, dei bei figli... qualcosa che viene prima di tutto questo.

Io non sono il tuo datore di lavoro, e perciò non posso decidere cosa ci sia da fare nel tuo caso. Però mi ricordo che c'è gente che per un problema passeggero è stata licenziata. Ci sono donne che vengono licenziate durante un periodo di malattia, come la madre di un mio amico che ho visto sabato. Ci sono donne che vengono licenziate perché sono incinte.

Sì, quel cielo sembra nero. Con le tue condizioni di salute, non può certo sembrare rosa. Nessuno vorrebbe stare nei tuoi panni... a meno che non sia messo ancora più male di te.

Quando sei nel dolore, quando quel cielo ti sembra nero, ricordati che ci sono persone che pregano per te. Non sono solo io. Ci sono anche persone che non conosciamo e che pregano per te, dal chiuso dei loro conventi e monasteri e delle loro chiese, pregano per la gente che soffre affinché quelle sofferenze o spariscano o portino frutti, talmente tanti frutti da farle dimenticare.

Ecco, come al solito quando comincio a scrivere non finisco più, come al solito ti ho rifilato un'altra predica e ho fatto tardissimo. Sono buono solo a fare prediche. Per me è facile parlare, perché ho sofferto poco in vita mia. Ti avrei solo dovuto ricordare (perché è importante ricordarselo sempre) che ogni sofferenza verrà “ricompensata” molto più di quanto noi non riusciremmo mai ad immaginare.

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(13.6.09)