profile (e presentazione)

 mail: ucciellino@gmail.com

 feed: atom RSS

 visite: 







Cambiato indirizzo: www.ucciellino.blogspot.com

Il nuovo indirizzo di questo blog è www.ucciellino.blogspot.com

Attenzione: Blogspot ha cambiato l'indirizzo (link) di ognuna delle pagine di questo blog, per cui i link che avete creato fino a tutto il 2009 quasi certamente non funzioneranno.

(24.06.10)

 Sono il signor Wolf; mi manda la Provvidenza

In alcuni momenti della mia vita ho avuto la netta sensazione di essere stato scelto come strumento della Provvidenza per qualche determinata persona o gruppo di persone. Si tratta spesso di quei momenti in cui vien da pensare: proprio io? proprio qui? proprio adesso? (in vita mia mi è assai più spesso accaduto di trasformarmi da persona giusta al momento giusto in persona sbagliata al momento sbagliato; per grazia di Dio non sono troppo propenso a scandalizzarmi di me stesso).

Talvolta, nell'essere strumento (più o meno involontario) della Provvidenza, mi sembra di sentire l'interlocutore mugugnare tra sé e sé: “oh, Signore! Proprio uno sporco ciellino dovevi mandarmi? per di più uno sporco ciellino interista!” (mi piacerebbe rispondere: “ehi, tre quarti dei ciellini sono interisti”, ma forse è un eccesso di ottimismo. E poi io sono un interista non praticante).

In qualche caso ho avuto perfino modo di fare il... Blues Brothers, divertendomi nel dire “sono in missione per conto della Divina Provvidenza”, con qualche soluzione a qualche problema. Come per tante cose della mia vita, anche quell'espressione l'ho mutuata da un grande amico. Una volta, quando meno me lo aspettavo, mi portò la soluzione ad un mio brutto problema: inforcò gli occhiali da sole e recitò: “sono il signor Wolf; mi manda la Provvidenza”. Solo tempo dopo vidi quell'altro film, quello in cui c'è la scena di uno che bussa alla porta e quando gli viene aperto si presenta dicendo: “sono il signor Wolf; risolvo problemi”.

Provar gratitudine per una soluzione inaspettata ad un problema disperato è la cosa più naturale del mondo. Ma prolungare quella gratitudine oltre quei pochi secondi è un atto quasi eroico.

Etichette:

(30.3.09)

 Piccoli poeti crescono

Da piccolo ho scritto qualche poesia. Mia madre trovò il quadernetto, lesse tutto e mi disse che le piacevano. Ma io me ne vergognai tantissimo.

Me ne vergognerei ancora oggi. Non ricordo se ho già dato alle fiamme il quadernetto, ma alla bisogna mi sento pronto a provvedere all'istante.

Il poeta in erba doveva lottare con le rime ed era assillato dall'idea di comporre qualcosa di completo, riuscendo difficile concludere un sonetto senza dimenticar nulla (benedetta capacità di sintesi, sei un dono tanto prezioso quanto raro); già allora, buona percentuale dello scritto era poco meno che un lamentarsi.

Il piccolo poeta è cresciuto: non scrive più poesie sui colori dell'autunno, ma sfoga la stanchezza nel blog. Di cui tra un po' di anni si può essere certi che se ne vergognerà.

Il piccolo poeta è diventato adulto, ma non ha perso alcuno di quei vizi: logorrea, lamentela, ironia... e quell'abuso di avverbi e incisi tipico degli adolescenti secchioni e saccenti. Un giorno - puoi scommetterci - considererà prevedibile e noioso questo blog e magari lo darà alle fiamme (informatiche); anche il san Tommaso d'Aquino in punto di morte considerò “paglia” i suoi scritti, infinitamente più seri dei miei.

A questo punto c'è l'inevitabile comparsa del principio di induzione. Crescendo la saggezza, cresce la vergogna per i propri atti passati. O ingiusti, o inutili. Se si resiste alla tentazione di recriminare si può finalmente dedurre che l'essenziale, dopo averlo intuito e conosciuto per una vita intera, lo si è evitato e aggirato per tutto il tempo.

“Beato chi si dona a Dio in gioventù”, diceva don Bosco: augurando, cioè, di non mettere da parte l'essenziale per una vita intera. Mi ricorda quel canto del movimento: “vorrei essere un frate quando il respiro manca”, desiderare cioè di poter aver fatto e vissuto di cose di cui non verranno mai alla mente considerazioni per vergognarsene. “Di giorni nati e morti, averne visti tanti, aver la vita dietro, l'eternità davanti”: perdonarsi (talvolta è più difficile perdonare sé stessi che perdonare gli altri, perfino dopo una confessione sacramentale), e conservare “tanti” giorni non vuoti di significato.

Bah. Anche stavolta sto lasciando una predica sul blog, perdendo tempo per togliermi dalla testa questi pensieri (e depositarli nell'internet dove un giorno verranno letti da qualcuno a caccia di scuse per criticare il movimento). Nelle parrocchie non c'è quasi più nessuno che ci “apparecchia” domandandoci: in punto di morte, cosa desidereresti di aver fatto nella vita?

Etichette:

(20.3.09)

 I sette peccati capitali... ridotti a uno solo

Quando parlo del sacramento della riconciliazione, in qualsiasi situazione mi accorgo sempre di aver davanti almeno una persona (spesso molte di più) talmente ignorante di catechismo da pensare che i peccati capitali siano questi sette: 1) lussuria, 2) lussuria, 3) lussuria, 4) lussuria, 5) lussuria, 6) lussuria e 7) ancora lussuria.

C'era perfino quel tal parrocchiano che articolò un lunghissimo discorso per arrivare a chiedere qualche trucco per eludere la necessità di confessare qualcuno dei sette ostacoli sopra elencati.

Invece, come dice il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica:

397 [CCC 1865-1866]: Come prolifera in noi il peccato? - Il peccato trascina al peccato, e la sua ripetizione genera il vizio.

398 [CCC 1866-1867]: Che cosa sono i vizi? I vizi, essendo il contrario delle virtù, sono abitudini perverse che ottenebrano la coscienza e inclinano al male. I vizi possono essere collegati ai sette peccati cosiddetti capitali, che sono: superbia, avarizia, invidia, ira, lussuria, golosità, pigrizia o accidia.

Osserviamo con attenzione:

  • l'accidia, non sanno neanche cos'è
  • la pigrizia, ovviamente è solo degli altri (pigro io? ma come ti permetti? anzi, sono pigro e me ne vanto)
  • la golosità la chiamiamo così perché quando si chiamava “gola” nessuno capiva (goloso io? ma come ti permetti? mangio quel che mi pare!)
  • l'ira sappiamo cos'è (ma come ti permetti? io mi adiro solo per giusta causa e so sempre in anticipo quando le cause sono giuste o meno!)
  • l'invidia ovviamente è solo degli altri (invidioso io? ma come ti permetti? invidioso tu!)
  • l'avarizia è solo di chi ci deve qualcosa (avaro io? ma come ti permetti? decido io come far fruttare ciò che ho!)
  • la superbia, ovviamente, è solo degli altri (superbo io? ma come ti permetti?)
Per questo, quando devo spiegare il sacramento della riconciliazione, per evitare che concentrino le loro considerazioni sulla sola lussuria, devo far sempre qualche esempio grottesco e brutale: “mettiamo che io spari una fucilata nel piede di Francesca... se la fucilata non era intenzionale, allora non è peccato grave...”

«Deliberato consenso, materia grave, piena avvertenza»: se manca una di queste tre condizioni, allora non è “peccato mortale”. E intanto nelle teste dei miei interlocutori lampeggiano a caratteri cubitali le insegne luminose con la scritta: “lussuria, lussuria, lussuria”.

Son tempi duri, quelli in cui coesiste un sessismo maniacale (anzitutto nelle parole) e un moralismo patologico (tutti prontissimi ad ergersi campioni di moralizzazione). Per questa ragione, finché l'interlocutore è convinto che il principale (se non l'unico) peccato sia la lussuria, è pericoloso definirsi peccatori.

Etichette:

(18.3.09)

 Cinque minuti di ricreazione

Un blogger brianzolo, per antipatie politiche locali, vomita fuoco e fiamme contro Comunione e Liberazione (sì, è uno sport da sempre in voga).

Un professore gli risponde con un pizzico di ironia, facendogli rimediare una figuraccia veramente colossale.

L'aspetto comico della questione è che il blogger in questione decide di pubblicare tale lettera tentando maldestramente di controbattere, senza riuscire in altro intento che di pronunciare le solite menate preconfezionate del buon vecchio Prontuario Anticiellino (roba come “intransigenti... fanatismo... Voltaire...”).

Dato che la lettera è del 2004, manca ancora della ciliegina sulla torta - e cioè il cardinal Ratzinger, pochi mesi prima di diventare Papa, che accorre al Duomo di Milano per celebrare la Messa esequiale per don Giussani, e tenere l'omelia al posto di Tettamanzi...

Ogni tanto me la rileggo, per farmi tornare il buonumore. Eccola qui sotto.

COMUNIONE... E

Eh sì, niente di più vero: “mala tempora currunt”. Sono cattivi i tempi in cui basta lanciare nell'etere o nel web qualche fregnaccia imbevuta di alcune citazioni pseudocolte per essere convinti di aver liquidato una questione. “Mala sunt tempora” in cui non si rispetta più l'ovvia regola del “sapere prima di parlare”. D'altra parte, da un sito che nella sua homepage dichiara, citando Cioran, che “non si scrive perché si ha qualcosa da dire ma perché si ha voglia di dire qualcosa”, che cosa ci si dovrebbe aspettare? Parole scritte solo perché si ha voglia di scrivere e non per tradurre in concetti dati, fatti, pezzi di realtà.

By the way, se Odo da Bietigheim fosse convinto di quello che scrive nel sito www.macchianera.it sotto il titolo “Comunione e disgregazione”, non dovrebbe limitare i suoi scoop ad un sito che non ha la dovuta notorietà per il grande pubblico. Dovrebbe contattare, che so, l'“Espresso”, “Repubblica”, o forse anche l'“Osservatore Romano”. Lo scoop è meritevole di maggiore attenzione mediatica. Proprio nei giorni in cui 45.000 ciellini si ritrovano a Loreto per celebrare i 50 anni di CL, la stampa non potrebbe negare il dovuto spazio alle scoperte del novello Torquemada della Brianza: CL è “in odore di eresia”. Anzi, propugnando il modernismo, e cioè “la sintesi di tutte le eresie”, sarà il caso che si preparino dei sacri roghi per fare piazza pulita di questi pericolosi cattolici.

Odo da Bietigheim ha sbirciato qua e là, ha fatto una passeggiatina nel web e, dovendo sbugiardare a tutti i costi i ciellini, è andato a trovare l'unico sito dell'universo internettiano dedicato alle presunte “eresie” che allignano nei testi di Don Giussani. Se le sarà lette tutte le lunghissime citazioni che si trovano nel sito www.zaccariaelisabetta.it e che dimostrerebbero che Giussani è peggio dei peggiori eretici, o si sarà fidato dell'estensore di quelle pagine? Non lo sapremo mai. Sappiamo solo che, per avvalorare le sue tesi, Odo da Bietigheim ci dice che “alcuni autorevoli teologi” sono già sulle tracce del modernismo giussaniano. Chi saranno mai questi autorevoli teologi? Von Balthasar, Rahner, Moltmann, Bruno Forte? No, quelle pagine sono redatte da Davide Gasparini, un giornalista che si definisce “un cattolico con interesse alla teologia”. Un po' poco per elevare Gasparini al rango di “autorevole teologo”, non le pare?

Ma poi: ricordo male o non erano forse i ciellini ad essere additati dalla stampa laica o laicista come i “papaboys”, i “rambo di Wojtyla”, addirittura più papisti del Papa? No. Tutto falso. E Odo da Bietigheim (o chi per lui) ristabilisce la verità ricordandoci che dietro il volto mite e scavato dagli anni di Don Giussani si nascondono le serpi dell'immanentismo, del razionalismo, del modernismo. Orrore! Urge l'intervento di Ratzinger.

Purtroppo per Odo da Bietigheim, Ratzinger si è già pronunciato e non pare proprio che abbia dato seguito le pie preoccupazioni dell'Odo che ha così a cuore le sorti dell'ortodossia cattolica. Il cardinale scrive un articolo sul quotidiano della CEI, l'11 marzo 2001, in cui spiega il senso dell'opera e del pensiero di Giussani. Addirittura scrive introduzioni alle opere di Giussani (come ha fatto per “Il senso di Dio e l'uomo moderno” e “Un avvenimento di vita, cioè una storia”), senza accorgersi che sta contagiandosi al contatto con l'eretico. Addirittura Ratzinger presiede la celebrazione in cui vengono ordinati alcuni sacerdoti di CL, non rendendosi conto di ordinare dei nuovi seminatori di eresie. Quali scherzi fa l'età ai vecchi cardinali!

Odo, fatti sentire! E cantagliene quattro anche a quell'inconsapevole di Gad Lerner che sul “Corriere della Sera” osa scrivere che “i ciellini che piacciono tanto al Papa e a Ratzinger si presentano dunque come un impasto di ortodossia ed anticonformismo, uniti nella convinzione che la verità non è il prodotto della discussione, ma la precede”. D'altra parte Gad, si sa, non è cattolico, e non può capire ciò che invece è limpidamente solare al nuovo inquisitore della Brianza.

E il Papa? Anche lui è ormai bollito e non sa più quel che scrive. Manda lettere a Don Giussani per il 20° anniversario della Fraternità di CL, di ordinamento pontificio (2002), e si abbassa al livello dell'eretico sacerdote milanese. Manda benedizioni in occasione del 50° anniversario dell'inizio del Movimento, con parole forti in cui osa dire che “la Provvidenza divina ha realizzato, in questo mezzo secolo, un'opera che, diffondendosi rapidamente in Italia e nel mondo, ha recato abbondanti frutti di bene per la Chiesa e per la società”. Ma, si sa, il Parkinson fa dire ai Papi quello che non vorrebbero dire. Anzi, tra gli effetti collaterali del Parkinson e dell'artrite, rilevabili soprattutto nella gerarchia cattolica, c'è anche quello di scambiare le eresie con qualcosa che fa bene alla Chiesa.

E quando era più giovane (e si chiamava ancora Wojtyla e non Woitjla), che cosa aveva a che fare il Papa con CL? Odo da Bietigheim lo sa e, citando “Tempi”, ci racconta che “l'allora Cardinale Woitjla invitato ad un congresso di C.L. sui Monti Tatra nel 1975, dopo aver ascoltato discorsi e preghiere disse: ”Ma io sono vostro amico?“”. Per dimostrare che non si considerava amico di CL. Ma quando si vuole perseguire una tesi, ogni citazione va bene, pur di arrivare a portare acqua al proprio mulino. In realtà “Tempi” riportava quanto segue: “Nel 1977, auspice ancora Grygiel, un nuovo incontro. Al futuro Papa veniva consegnata la risposta che don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, aveva dato a ”Lettera ai cristiani d'Occidente“ di un teologo cecoslovacco e Wojtyla, con un'espressione di sorpresa e di gioia chiese: ”Ma io sono vostro amico?“”. Come si vede, è esattamente e letteralmente quello che Odo da Bietigheim voleva sostenere. E un ricordo riportato e citato male, per chi ha deciso di demolire CL, vale più di decine di testi, di lettere, di discorsi ufficiali in cui il Papa parla con affetto a Don Giussani.

Ad esempio, nella lettera inviata a Don Giussani per i 50 anni di CL, Giovanni Paolo II scrive: “Il vostro Movimento ha voluto e vuole indicare non una strada, ma la strada per arrivare alla soluzione di questo dramma esistenziale. La strada, quante volte Ella lo ha affermato, è Cristo. Sta proprio qui l'originale intuizione pedagogica del vostro Movimento: riproporre cioè, in modo affascinante e in sintonia con la cultura contemporanea, l'avvenimento cristiano, percepito come fonte di nuovi valori, capaci di orientare l'intera esistenza. ... Quest'esperienza di fede genera uno sguardo nuovo sulla realtà, una responsabilità e una creatività che concernono ogni ambito dell'esistenza: dall'attività lavorativa ai rapporti familiari, dall'impegno sociale all'animazione dell'ambiente culturale e politico”.

Sarà questa la “diffidenza” verso CL che Odo da Bietigheim intravede nell'atteggiamento della Chiesa ufficiale? Boh!

E poi c'è tutta la seconda parte dell'intervento inquisitorio. In un rapido giro di valzer, da pericoli eretici modernisti, i ciellini diventano “cristianisti”, e cioè, secondo la tesi di Lucio Brunelli, iperortodossi, puri e integri nel sostegno dell'ortodossia cattolica vista come arma contro ogni deviazione modernista. Ma allora non capisco più nulla. Dieci righe prima CL era il ricettacolo di tutte le eresie, specie di quella modernista. Poco più sotto la frittata viene girata e i ciellini tornano ad essere gli integralisti arcigni, avversi ad ogni adeguamento alla modernità, all'irenismo, al pacifismo, al relativismo.

E così, dopo i preamboli teologico-sociologici, si può demolire la presenza dei ciellini nella politica del Meratese. Ma se il preambolo non sta in piedi, non sarà che anche le conclusioni si rivelino un po' scazonti?

Non conosco a fondo la situazione politica di Merate per esprimermi. Potrei farlo, se dovessi seguire fino in fondo la lezione di Odo di Bietigheim, e cioè quella di parlare e pontificare a sproposito (teologizzando) di ciò che non si sa. Ma questa logica da ciarpame pseudoculturale non mi appartiene. Non intendo sottostare alla imposizione, tipica della anticultura della nostra civiltà, secondo la quale su ogni argomento, specie se sconosciuto, occorra vomitare il proprio (impreciso) giudizio che alla fine si traduce solo in una esternazione preconcetta e schierata. Lo sdottoramento saccente che porta a esprimere un'opinione intempestivamente veloce su ogni questione credo sia l'altra faccia della rinuncia a voler capire. “So di non sapere” diceva Socrate, quando si sentiva rivolgere una richiesta di un giudizio su ogni tipo di argomento. E cioè: il cuore di ogni problema è il dubbio, quello sano, quello che si tramuta in domanda e muove alla ricerca delle cause, dei veri perché. Torniamo al silenzio. Quello che consente di studiare, di capire, con amore alla verità.

Luigi Nava

Etichette:

(16.3.09)

 Comunione e Liberazione e la messa in latino

Don Giussani ha celebrato per un lungo periodo della sua vita nell'antico rito in latino (quello che il Papa ha detto che non è mai stato abolito). Lo stesso si può dire di tanti preti del movimento che hanno abbastanza decenni di sacerdozio.

Don Giussani aveva sempre avuto una particolare attenzione e cura per la liturgia. Una volta, mentre stava apprestandosi a celebrare messa, disse ai suoi ragazzi che gli avevano preparato l'altare che non lo avevano fatto bene. Sorpresi, gli chiesero come se ne fosse accorto. Allora li portò in fondo alla chiesa e fece loro osservare che la tovaglia dell'altare pendeva da un lato. Sulla liturgia non si può procedere per approssimazione o fretta.

Quarant'anni fa c'è stata la riforma liturgica, che fu accolta con un sospiro di sollievo da quelli che finalmente si sentirono liberi di gettar via il latino e la solennità, per dare spazio all'italiano e all'avanspettacolo. Chi aveva a noia il silenzio, l'adorazione, la preghiera, il canto sacro... poteva finalmente sbizzarrirsi. Uno dei tanti risultati è che la “complicata” messa domenicale in latino durava venti minuti, mentre oggi la messa domenicale in italiano si protrae per... (prova a ricordarti a che ora sei uscita dalla parrocchia domenica scorsa).

Don Giussani ha sempre obbedito ai suoi superiori ed ha obbedito anche sulla liturgia: lui e i suoi ragazzi, già perseguitati per altri motivi, non hanno voluto combattere battaglie già perse. Si sono subito adeguati ma hanno preso alla lettera il nuovo messale riformato scegliendo, tra ciò che questo qualificava come lecito, quanto bastava per ottenere una liturgia “asciutta”, cioè fatta senza correre e senza annoiare (sulla liturgia bisognerebbe discutere parecchio: qui mi sto solo limitando all'aspetto più superficiale: quello osservabile da chiunque; poi ti racconterò pure di quando un'amica mi invitò alla messa del “suo” movimento e fu una noia mortale e interminabile). Con lo stesso criterio va intesa la presenza di chitarre nelle liturgie cielline.

Nel Sessantotto e dintorni il movimento prese la sua sbandata (perdendo la maggioranza degli aderenti e assumendo finalmente il nome di “Comunione e Liberazione”). Solo i più fedeli restarono col don Giussani e ci vollero ancora diversi anni prima di assestarsi (ancora ad Assago, nel '76, il don Gius doveva ricordare cos'è il movimento). Allora come oggi, essere “ciellini” non significava affatto avere le stesse idee; tra le tantissime possibili dimostrazioni c'è per esempio il fatto che era di CL lo stesso fondatore della comunità di sant'Egidio (per motivi “politici” tale legame non è mai comparso nelle sue biografie ufficiali).

La “liturgia ciellina” si è perciò imposta per l'obbedienza di don Giussani alla gerarchia ecclesiale e per l'obbedienza dei preti di CL al don Giussani - a questi ultimi, infatti, apparirebbe poco ragionevole celebrare la messa “ciellina” in quel conformismo di “segni”, “gesti”, parole e paroloni, canzonette ambigue e protagonismi, cartelloni con caratteri in font “cicciotto”, applausi, omelie “partecipate”...

Ma sbaglieresti a dedurre che il movimento abbia seppellito la tradizionale (e mai abolita) liturgia in latino.

Nelle liturgie cielline - moderne e “asciutte”, detestate tanto dai fanatici della messa in latino quanto dai fanatici delle interminabili messe in italiano - trovano spazio, ogniqualvolta possibile, i canti della tradizione cristiana. Io stesso ho spesso invitato gente alla messa del movimento solo allo scopo di far sentir loro qualche canto. Un Jesu dulcis memoria ben cantato è di solito più che sufficiente per far capire che la liturgia non è una cerimonia o uno spettacolo. Il meglio dei canti lo si vede alle liturgie degli esercizi della Fraternità: ma lì non posso certo invitarci chiunque.

Tra i tanti preti “di CL” che conosco, buona parte - per lo più quelli nati e cresciuti in questo “nuovo corso” - troverebbero alquanto poco attraente l'idea di celebrare la messa in latino. Ma altri - anche giovani - non la disdegnano e, se dal movimento venisse qualche indicazione, certamente si attiverebbero per celebrarla in pubblico (ciò che ora per prudenza non possono fare). Il “salto” non sarebbe affatto difficile, visto quanto detto sui canti e sullo stile asciutto (e la “riforma della riforma liturgica” farebbe un altro passo avanti).

Nelle settimane successive al motu proprio sulla messa in latino, don Carrón fu in udienza privata dal Papa, non ricordo più per quale motivo. Se il Papa gli avesse chiesto esplicitamente sostegno, dagli esercizi dei preti della fine dell'agosto successivo centinaia di preti di CL si sarebbero messi in moto (sono certo che basterebbero poche parole di Carrón per convincere la maggioranza).

Ma il Papa non ha voluto chiedere per obbedienza ciò che si aspetta che porti frutto nella libertà dei singoli.

Un'ultima osservazione. Con la riforma liturgica di quarant'anni fa, nella terra di sant'Ambrogio nessuno si pose il problema della differenza tra il rito romano e quello ambrosiano. Invece, quando il Papa promulgò il motu proprio nel luglio 2007, le curie milanesi subito cavillarono istericamente contro la sua applicazione al rito ambrosiano (e da quel che mi dicono sul successore di Tettamanzi, non c'è molto da rallegrarsi). Anche questo è un motivo di riflessione: la guerra contro la messa in latino, un attacco da tutte le direzioni. Non è il frivolo argomento delle “donne-prete”, è qualcosa di assai più vasto e significativo. Ne riparleremo.

Etichette:

(15.3.09)

 Il don Camisasca commenta la lettera del Papa

Invitandoci a pregare per il Papa e per la Chiesa, il don Camisasca ha scritto questo commento alla recente lettera a tutti i vescovi della Chiesa di Benedetto XVI:

Nella lettera del papa a tutti vescovi della Chiesa Cattolica vi sono due fuochi. Il primo riguarda i fatti più recenti, l’incomprensione del suo atto di misericordia verso i quattro vescovi lefebvriani e tutte le polemiche che ne sono seguite. Amaramente il papa nota di essere stato più capito da alcuni ebrei che da certi suoi figli. C’è una sottile distanza in alcuni settori della Chiesa dallo spirito che muove le decisioni del papa.

Vi è poi un secondo fuoco, ancora più importante, in tutta la lettera. Riguarda la realtà intera della Chiesa e del mondo, la realtà dell’uomo. È una lettura in questo momento storico dei segni dei tempi, come aveva invitato a fare papa Giovanni, riprendendo peraltro una indicazione di Gesù. Può sembrare una lettura pessimista. Nasce invece dalla accorata sollecitudine del padre che vuole guidare la Chiesa verso una nuova pagina della sua missione.

Due mi sembrano le affermazioni centrali. “La fede è nel pericolo di spegnersi, come una fiamma che non ha più nutrimento”. “Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini” e così l’umanità cade in una totale mancanza di orientamento.

Non c’è nessuna preoccupazione di parte in queste parole, non uno spirito clericale, una tesi dogmatica, ma la pura e semplice passione per l’uomo. Il cuore dell’uomo si è raffreddato e il papa desidera che esso possa tornare a riscaldarsi, cioè ad aprirsi a quegli orizzonti che possono illuminare il cammino e permettere di affrontare i drammi del dolore, della morte, della solitudine, ma anche che permettono di gioire della creazione e degli altri doni di Dio.

Il cuore del papa è certamente ferito, ma non vuole rassegnarsi al male. Non ha comandamenti da imporre, censure da operare, vuole riaprire i cuori degli uomini alla promessa, indicare ai cristiani il dovere di testimoniare anche attraverso la loro unità il volto di quel Dio che li ha scelti.

Massimo Camisasca

Etichette:

(13.3.09)

 Un cristianesimo "contenutistico" da "impugnare" contro gli altri?

Circa dieci anni fa il giornalista Lucio Brunelli scrisse su 30Giorni un articolo sui «cristianisti» per indicare certi sedicenti cattolicissimi supercattolici che... agiscono come se il cattolicesimo servisse per facilitare l'ordine pubblico e per effettuare una “giusta” politica.

Sì, è vero che un “ordine pubblico” o una “politica”, nati da mentalità non cattoliche, si riducono al legalismo protestante o allo stalinismo.

Ma al centro della tua attenzione c'è Cristo o c'è la politica “giusta”?

Questa è la vera domanda tabù per i cristianisti. Anche se lo negano, costoro parlano ed agiscono come se il cattolicesimo fosse in fin dei conti uno strumento di lotta politica. Un cristianesimo di “contenuti”, da “impugnare” contro gli altri, un cristianesimo da “utilizzare” per migliorare la società. Si oppongono alle ideologie e non si accorgono di ridurre il cristianesimo ad un'ideologia. «La civiltà dell’Europa cristiana è stata costruita da gente il cui scopo non era affatto quello di costruire una “civiltà cristiana”. La dobbiamo a persone che credevano in Cristo, non a persone che credevano nel cristianesimo».

A ben guardare, l'errore dei cristianisti è lo stesso errore del cattocomunismo da loro stessi tanto deprecato; solo, stavolta, l'errore è più elegante, è in veste più raffinata, “noi non siamo mica tonti come i cattocomunisti!” (compiacimento e superiorità)

«Per un cristianista è più “fratello” un telepredicatore protestante americano che un cattolico palestinese di Betlemme» (da un blog non cattolico).

L'articolo originale pubblicato su 30Giorni (poi ripubblicato il 26 ottobre 2001 su Vita col titolo “Cattolici e guerra: una nuova setta. Ecco i cristianisti”) è una sintesi mirabile e terribilmente attuale, da sottolineare parola per parola:

I CRISTIANISTI, CHE SCIAGURA
di Lucio Brunelli

Un nuovo genere di cristiani s'aggira per l'Europa. Sono i “cristianisti”. Ne circolavano varie specie, alcuni indossano la tonaca, altri giacca e cravatta. C'è la versione aristocratica e quella scapigliata. Ma in comune tutti i cristianisti hanno il piglio del cattolico da combattimento. Basta chiacchiere ecumeniche, occorre un'identità forte. Si sentono minoranza. Ma non calano le brache, loro. In politica stanno di preferenza col centrodestra, in economia sono ultraliberisti, a livello internazionale, ferventi americanisti.

UNA NUOVA SETTA - ECCO I CRISTIANISTI
di Lucio Brunelli (*)

E fin qui di anticonformismo non sembrerebbe essercene molto. Ma la vera novità dei cristianisti non è la scelta dello schieramento. È il pathos che ci mettono. Lo spirito di militanza. E soprattutto la forte motivazione ideologico-religiosa. Dalla teologia dell'unicità di Cristo Salvatore discende senza dubbi un atteggiamento belligerante verso l'Islam. Dalla critica ortodossa del pelagianesimo viene l'accusa sprezzante a quei cristiani che si dedicano prevalentemente alle iniziative sociali in favore degli “ultimi”. Dalla denuncia dell'irenismo teologico si arriva all'entusiasmo (non solo approvazione, ma entusiasmo) per le spedizioni militari alleate.

Tutte queste caratteristiche sono l'essenza del perfetto cristianista. Fenomeno nuovo, senza dubbio, almeno relativamente agli ultimi anni. Minoritario ma non quanto si crede, perché si innesta (estremizzandole) in tendenze dottrinali e politiche che trovano spazio anche in alcuni settori della gerarchia ecclesiastica.

Il vero punto di lontananza con i cristianisti non è una differenza di vedute politiche. È questo uso del cristianesimo come un vessillo ideologico. È sbagliato sostenere che Cristo è l'unico salvatore dell'uomo e che le religioni non sono equivalenti e interscambiabili? No: è la dottrina cattolica. Ma un conto è percepire il cristianesimo come “contenuti di Verità” da impugnare contro gli altri. Un altro è riconoscere gratuitamente quell'unicità in una Presenza dal volto umano, e riconoscerla in forza di un'attrattiva. Sembra dunque una quisquilia ideologica. Ma non lo è. Dal primo approccio deriva, o può derivare più facilmente (la storia insegna), un atteggiamento rigido, di compiacimento e superiorità. Insomma un atteggiamento integralista. Può capitare invece di percepire il cristianesimo non innanzitutto come “contenuti di verità” ma come il fascino di una presenza unica, che ti attrae e ti persuade innanzitutto per l'impatto umano che ha. Per la corrispondenza sorprendente con le esigenze della ragione e del cuore. Proprio perché assolutamente gratuita (sovrannaturale) e non dovuta, questa Presenza ti fa sentire tutto tranne che “migliore” di altri. Proprio perché nella sua essenza più profonda è un'attrattiva misericordiosa, tutto può essere tranne che imposta. Conseguenze umane, anche psicologiche, che costituiscono il più efficace antidoto contro la pretesa integralista.Per restare all'esempio attualissimo dell'Islam. I cristianisti irridono e giudicano dei traditori quei cattolici come Andreotti che, sulle orme del Concilio Vaticano II, si sforzano di tenere una trama di rapporti e amicizia con i paesi musulmani.

Ai cristianisti infatti interessa la presunta purezza della loro ideologia cattolica, non la vita concreta dei singoli cristiani. Ignorano quanti sacerdoti siano stati “salvati” in situazioni difficili e senza pubblici proclami proprio grazie a quella trama di rapporti. Per non parlare dell'evoluzione di regimi considerati in passato “terroristi” come la Libia e l'Iran. Evoluzione resa possibile proprio grazie a una diplomazia paziente e ispirata a un sano realismo cattolico. Se fossero i cristianisti a guidare Chiesa e nazione, ci sarebbe da tremare. Per tanta irresponsabilità pari solo a tanta presunzione.

(*) vaticanista Tg2


L'articolo del 2004 pubblicato su Vita:

CHI È IL CRISTIANO E CHI È IL CRISTIANISTA
22 novembre 2004
Lucio Brunelli

A proposito dei giudizi di un grande storico, Remi Brague.

Il filosofo francese Remi Brague ha coniato un geniale neologismo: cristianisti. Se i cristiani sono coloro che semplicemente credono in Cristo, i “cristianisti” sono quelli che esaltano e difendono il cristianesimo. Inteso come una cultura, una civiltà, un'ideologia. Si può essere cristianisti come in passato si è stati fascisti o comunisti. Un'idea forte e una militanza agguerrita. Al limite si può essere cristianisti senza avere la fede, ovvero senza aver mai sperimentato la tenerezza di Cristo. Dopo l'11 settembre c'è stata una germinazione massiccia di cristianisti. Sia in versione cattolica sia in versione laica. La civiltà occidentale, dicono, è aggredita da un islam bellicoso. Occorre rispondere a questa minaccia da un lato con la forza militare e dall'altro innalzando il vessillo di una forte identità culturale. Nichilismo e relativismo potevano forse essere tollerati in tempi di pace. In tempi di guerra no, ci vuole un credo più robusto e valori morali meno fluttuanti: il grande albero della civiltà occidentale, se non vuol essere spazzato via dalla marea islamista, deve ritrovare più salde radici. Ha commentato Remi Brague in un'intervista al mensile 30Giorni: «Per questa gente la Chiesa deve “difendere certi valori” e non transigere sulle regole morali. Loro vogliono un'organizzazione con una linea ferma, con un “numero uno” ben stabilito. Alla fine, mi chiedo se non sognino una Chiesa fatta con lo stampo del Partito comunista sovietico».

Ora, non si tratta di demonizzare i cristianisti. Che intellettuali laici abbandonino i pregiudizi e scoprano un nuovo interesse verso la cultura cristiana è un fenomeno in sé positivo. Così le singole prese di posizione restano comunque materia di libera e laica discussione. Quel che conta è che non si smarrisca mai la distinzione fra cristianisti e cristiani. Che i primi non assorbano i secondi. O più correttamente: che i secondi non si lascino assorbire dai primi. Le conseguenze sarebbero disastrose per la Chiesa. I cristianisti sono intellettuali. A loro interessano alcune “idee” del cristianesimo. A loro potrebbe stare bene, per assurdo, un mondo in cui i governi mettano al bando i bambini in provetta e le unioni gay, anche se nessuno più pregasse, si confessasse e si affezionasse a Cristo. I cristiani sono interessati alla salvezza dell'anima (ovvero alla felicità vera), loro e di ogni uomo. Non sono “contro” nessuno, nemmeno contro i cristianisti. Sopportano con pazienza le persecuzioni, ma non possono accettare di avere altri maestri all'infuori del Maestro.

Etichette:

(11.3.09)