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(24.06.10)

 Piccoli poeti crescono

Da piccolo ho scritto qualche poesia. Mia madre trovò il quadernetto, lesse tutto e mi disse che le piacevano. Ma io me ne vergognai tantissimo.

Me ne vergognerei ancora oggi. Non ricordo se ho già dato alle fiamme il quadernetto, ma alla bisogna mi sento pronto a provvedere all'istante.

Il poeta in erba doveva lottare con le rime ed era assillato dall'idea di comporre qualcosa di completo, riuscendo difficile concludere un sonetto senza dimenticar nulla (benedetta capacità di sintesi, sei un dono tanto prezioso quanto raro); già allora, buona percentuale dello scritto era poco meno che un lamentarsi.

Il piccolo poeta è cresciuto: non scrive più poesie sui colori dell'autunno, ma sfoga la stanchezza nel blog. Di cui tra un po' di anni si può essere certi che se ne vergognerà.

Il piccolo poeta è diventato adulto, ma non ha perso alcuno di quei vizi: logorrea, lamentela, ironia... e quell'abuso di avverbi e incisi tipico degli adolescenti secchioni e saccenti. Un giorno - puoi scommetterci - considererà prevedibile e noioso questo blog e magari lo darà alle fiamme (informatiche); anche il san Tommaso d'Aquino in punto di morte considerò “paglia” i suoi scritti, infinitamente più seri dei miei.

A questo punto c'è l'inevitabile comparsa del principio di induzione. Crescendo la saggezza, cresce la vergogna per i propri atti passati. O ingiusti, o inutili. Se si resiste alla tentazione di recriminare si può finalmente dedurre che l'essenziale, dopo averlo intuito e conosciuto per una vita intera, lo si è evitato e aggirato per tutto il tempo.

“Beato chi si dona a Dio in gioventù”, diceva don Bosco: augurando, cioè, di non mettere da parte l'essenziale per una vita intera. Mi ricorda quel canto del movimento: “vorrei essere un frate quando il respiro manca”, desiderare cioè di poter aver fatto e vissuto di cose di cui non verranno mai alla mente considerazioni per vergognarsene. “Di giorni nati e morti, averne visti tanti, aver la vita dietro, l'eternità davanti”: perdonarsi (talvolta è più difficile perdonare sé stessi che perdonare gli altri, perfino dopo una confessione sacramentale), e conservare “tanti” giorni non vuoti di significato.

Bah. Anche stavolta sto lasciando una predica sul blog, perdendo tempo per togliermi dalla testa questi pensieri (e depositarli nell'internet dove un giorno verranno letti da qualcuno a caccia di scuse per criticare il movimento). Nelle parrocchie non c'è quasi più nessuno che ci “apparecchia” domandandoci: in punto di morte, cosa desidereresti di aver fatto nella vita?

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(20.3.09)