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(24.06.10)

 Ma tu ti vuoi bene o no?

Ieri sera si è rifatta viva un'amica di vecchia data. Siamo andati a mangiare qualcosa insieme.

Non ci vuole uno psicologo per capire cosa nascondono certi sguardi e certe allusioni.

Per tutta la serata mi ha parlato di un tizio (un amico, “un po' più che amico, ma solo un po'”), elencandomi i suoi problemi, i suoi difetti, le sue indecisioni, concludendo stucchevolmente ogni paragrafo con “mi fa soffrire ma io gli voglio tanto bene”.

Ho sopportato con pazienza ma quando siamo usciti dal locale non ne ho potuto più e le ho detto: “il tuo problema è che non sei più un'adolescente”.

Mi guarda lusingata (perché si è sentita qualificare come una donna e non come una ragazzina). Lusingata e sorpresa, aspettandosi chissà che incensazione. E invece...

“Ti sembrerò brutale, ma il problema è che lui non vuole prendere decisioni. Vuole giocare. Il suo ideale è altrove, tu sei solo un diversivo. E per di più gli hai fatto capire che gli vuoi bene e che perciò stai al suo gioco: per questo ne soffri. Per paura di perderlo non lo costringi a giocare a carte scoperte, per paura di perderlo lasci che lui sia ambiguo”.

Nel frattempo pensavo: mi tocca fare (ancora una volta) il consulente matrimoniale?

Di fronte alle sue prevedibili giustificazioni, le ho chiesto: “ma tu ti vuoi bene o no?”

Non so come mi son venute fuori queste parole, appropriatissime, centrate al bersaglio.

In quest'epoca, infatti, pare che l'ambiguità nei rapporti sia una malattia epidemica. Nell'utopica speranza di farlo innamorare di lei, gli concede di essere ambiguo perché ha paura di perderlo. È la stessa cosa del regalare soldi a un drogato sperando che non li sprechi. Per ridursi a qualcosa del genere bisogna proprio odiare sé stessi (un odio irrazionale, non il cristiano sprezzo dell'amor proprio). Situazioni umilianti (come quella sopra descritta) vissute perché si ha paura di “perdere l'amore”, amore che esiste solo nei propri sogni. Sì, lui ti telefona almeno ogni giorno, ti regala questo e quello, ti dice tante belle parole... ma poi non vuol togliere il velo di ambiguità da questo rapporto. Come un ragazzino indeciso e con la testa tra le nuvole, ma decisissimo a non prendersi responsabilità. Per questo, se gli vuoi bene e se vuoi bene anche a te stessa, devi “costringerlo” a prenderti sul serio, a smettere di giocare, tanto più se vuole aspettare per decidere.

Mi viene in mente che dovrei farmi pagare per queste diagnosi così precise (anche se tutte uguali perché della stessa epidemia).

Poi mi viene in mente che tanta precisa diagnosi non è servita a niente. Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Lei era solo una delle tante che mi ha parlato non per discutere di un argomento, ma per cavarmi qualche parolina dolce, per addossarmi un po' della sua solitudine, per propormi come sostituto di quell'eterno indeciso.

Il suo discorso di ieri sera era riducibile a due frasi: “vedi? son capace di sforzarmi di voler bene perfino a uno che ha tanti difetti. Che ne dici di sostituirlo?”

Avrei dovuto spiegarle che l'amore non è la somma di due solitudini. Avrei dovuto spiegarle che il matrimonio cristiano non è il festeggiamento di una (eventualmente reciproca) infatuazione. Avrei dovuto ricordarle “cercate Cristo, tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”. Avrei dovuto dirle “se proprio ti interesso, perché tenti di ingelosirmi parlandomi di lui”? Avrei dovuto...

Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Avrei dovuto dirle subito “non sei il mio tipo”.

Totalmente sprecata la serata di ieri? No, forse no. Non si sa mai. Non posso sputarci su perché la grazia agisce anche nelle più piccole cose, agisce soprattutto nei modi più imprevisti. Chissà se già in questa vita mi capiterà di vedere qualche risultato.

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