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(24.06.10)

 Mezza vocazione

Premessa: “vocazione”, qui, si intende “alla vita consacrata”; la cosiddetta “vocazione al matrimonio” non è una vocazione in senso stretto, è solo un elegante modo di dire “chiamata alla santità nell'ambito del matrimonio”. Infatti “vocare” in latino significa “chiamare” e nel Vangelo ha un significato più alto di quello ordinario; Nostro Signore infatti sceglie determinate persone e le chiama: “sèguimi”, e si può lasciar tutto e seguirlo, oppure no. Non confondiamo la chiamata alla santità - che è per tutti - con la chiamata speciale alla vita consacrata, che esclude la vita matrimoniale.

Qualche settimana fa mi sono imbattuto nel blog di una giovane statunitense, fresca di laurea in Italia (con una tesi su Cicerone) e appena entrata in clausura.

Lessi avidamente quelle pagine. Qualche giorno dopo ne parlai con un'amica suora e mi sentii rispondere che tanta contentezza per la notizia di quella vocazione è... già una mezza vocazione. Restai di sasso.

Restai di sasso perché quel termine - “mezza vocazione” - lo avevo sempre usato come dispregiativo, riferendolo a quelle persone che sembrano tanto religiose, tanto vicine alla vita consacrata, tanto pronte a partire, e poi non partono mai, resistendo alle circostanze, passando a volte decenni interi nell'indecisione e nel lasciarsi trasportare dalle piccole cose della vita senza aver mai il coraggio di prendere sul serio almeno una delle sante proposte che hanno davanti agli occhi (incluso il matrimonio).

Invece io sono stato apostrofato con quel termine “mezza vocazione” per indicare qualcosa di positivo. Qualcosa che sta nascendo e di cui io stesso neppure mi starei rendendo conto. Sebbene non sia la prima volta in vita mia che me lo sento dire, confesso che ho avuto un leggero ma percepibile brivido.

La vocazione, se uno non ce l'ha, non se la può dare (il che, fino a quel brivido, mi aveva sempre tolto dai guai). La vocazione è un dono di quelli grandissimi, di cui ci si accorge quando meno lo si aspetta. Insomma, la vocazione, o non ce l'hai, o la stai rifiutando o la stai accettando. Non esistono alternative, non ci sono aree grigie.

Ci è facile parlare di vocazioni quando riguardano gli altri - molto meno facile quando riguarda noi; la prima sensazione, la prima reazione, è di irritazione per un discorso che ci tocca l'anima in uno dei suoi punti più delicati (ancor più nei casi in cui l'interlocutore non ci testimonia la sua vocazione).

Ora, io le volevo parlare del blog di Ann e invece mi ritrovavo a dover parlare di me. Messo all'angolo, per di più col termine “mezza vocazione” che io usavo come dispregiativo e stavolta invece lo sentivo usare in senso positivo (ah, le sfumature della lingua italiana: e non era banalmente la differenza tra bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno).

Se avessi qualche minimo ragionevole sentore, potrei andare alla “verifica” (a differenza di altri ambienti ecclesiali il movimento di CL ha una particolare cura e sensibilità per la verifica vocazionale). Ma alla “verifica” non si va per fare sport, non si va per far compagnia alla cara amica, non si va se non c'è qualcosa di grande di te che ti spinge, non si va con un progetto in testa restando impermeabili alla “verifica”.

Riflettendo sulla mia vita, mi sembra di capire che al fondo del mio cuore c'è il desiderio di vivere con una donna, metter su una famiglia, alla quale dedicare tutta la vita. Insomma, a quanto pare ho la cosiddetta “vocazione al matrimonio”, cioè non ho la vocazione (quella vera, quella fuori dell'ordinario, quella dell'irresistibile “seguimi!”)

Sì, quelli della San Carlo sono i miei eroi (più dell'Inter, ma non ditelo in giro), i Memores Domini sono i miei eroi (più dell'Inter, ma non gridatelo nelle piazze), così come i monaci della Cascinazza e altri ancora...

Che ci sarebbe di meglio di un ciellino come me, da associare a delle vocazioni sorte attraverso l'esperienza di CL? Facile a dirsi: questa domanda può talvolta contenere un pericoloso equivoco - che cioè basti condividere delle cose per assicurarsi una vita felice o che la vera compagnia sia qualcosa di pianificabile a volontà.

Nei laceranti momenti di crisi (che possono arrivare anche tra venti, trenta, cinquant'anni), quando ti chiedi “ma chi me l'ha fatto fare”, può mai bastarti il sapere che per la tua vita avevi scelto ciò che ritenevi giusto e lodevole? Con ciò voglio dire che uno può anche fare vita comunitaria vivendo di fatto da solo. Può cioè funzionare come allo stadio: decine di migliaia di persone che hanno in cuore la tua stessa idea, ma anche quando nel tripudio generale la tua squadra segna il goal della vittoria, nessuno degli altri presenti allo stadio ti è veramente vicino come ti è vicina tua moglie (che in quel momento sta a sfornellare in cucina, e della partita non gliene importa un fico secco).

Per quanto gli amici “con vocazione” mi abbiano assicurato che benché in condizioni diverse, nel campo affettivo la vita di verginità non ha nulla in meno della vita matrimoniale, e per quanto io sia convinto della ragionevolezza di tale affermazione, c'è qualcosa in me che mi dice che io sono fatto per stare accanto ad una donna. Mi sento talvolta “tentato” dalla vita religiosa, ma credo che ciò sia ordinaria amministrazione per qualsiasi cristiano - prima o poi, nella vita di ogni cristiano, viene almeno un momento in cui ci si sente seriamente attratti dalla possibilità della vita consacrata.

Un po' impacciato (e con un pizzico di irrazionale paura di scoprire di essere una “mezza vocazione” anch'io, ma in senso dispregiativo), ho tentato di dire tutte queste cose all'amica suora, sortendo però l'effetto opposto, forse anche per il fatto che da un anno sto senza morosa (orrore, orrore). Avrei potuto rassicurarla che mi sto attrezzando (difficile corteggiare in questi tempi dove il matrimonio è equivocato molto più che la già equivocatissima vita religiosa), ma probabilmente mi era solo mancata la prontezza di osservare che quanto più si ama la Chiesa, tanto più si hanno a cuore le vocazioni.

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(12.9.09)