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(24.06.10)

 A proposito di movimenti

L'11 febbraio 2002 Giovanni Paolo II scrisse a don Giussani per il ventennale del riconoscimento pontificio di Comunione e Liberazione: «il movimento ha voluto e vuole indicare non una strada, ma la strada per la soluzione del dramma esistenziale dell’uomo. La strada è Cristo».

Mi sembra che questa sia la miglior definizione possibile di “movimento ecclesiale”.

Non un progetto, non una particolare spiritualità, non un club, non “una” strada.

Comunione e Liberazione c'è perché indicando Cristo, il don Giussani si è ritrovato un popolo.

Don Giussani non ha mai inteso fondare niente: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta».

Ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, senza fabbricare nuove spiritualità, senza esaltare determinati aspetti sperando di cavalcare qualche moda (“elementari” non significa “archeologici” o “esotici”).

Ritornare alla passione del fatto cristiano come tale, nei suoi elementi originali, e basta.

Purtroppo non sono così tutti i movimenti ecclesiali e le nuove associazioni.

Fatte salve le buone intenzioni, ho spesso la forte impressione (relativa non solo alla mia parrocchia) che certi movimenti e certe associazioni inseguano il proprio prestigio e il proprio incremento numerico. È una tentazione presente perfino in certe teste cielline, nonostante il don Carrón (al pari del don Giussani) se ne sia sempre infischiato dei numeri e delle mode.

Purtroppo, in quanto “ciellino”, non posso dire in pubblico queste cose senza ricevere l'immediata e stupida accusa di conflitto di interessi. È già avvenuto in diverse occasioni in cui tentavo di far presente, nella massima onestà, qualche problema relativo ai movimenti ecclesiali.

La vita ecclesiale è stata ridotta a marketing. “Il mio gruppo ha più soci del tuo, la mia associazione ha promosso la tale iniziativa, alla mia celebrazione c'è più gente che alla tua...” Pochi stupidi vivono così, e tutti gli altri ne pagano le conseguenze.

Ma c'è anche il problema dello sforzarsi di seguire un improbabile carisma. Il movimento tal dei tali ha “riscoperto” questa cosa, l'associazione tal dei tali propugna la “riscoperta” dell'altra cosa, e così via. Certi movimenti sono tutta una “riscoperta”, intesa come ricetta magica che applicata alle persone produce automaticamente cattolici impegnati. Ma una posizione anche più patetica è quella dei fanatici del parrocchialismo, tutti protesi a difendere l'indifendibile (i movimenti esistono proprio perché tantissime parrocchie sono aggregazioni insipide e noiose, come già diceva Bernanos).

Seguire l'improbabile carisma di qualche fondatore (cioè seguire una qualunque “riscoperta” alla moda) diventa perciò un faticoso attivismo.

L'unica cosa che non diverrà mai di moda è il tornare agli aspetti elementari del cristianesimo, «vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta». Non è un attivismo, non è un intellettualismo. Non è un semplicismo, non è un complicazionismo. Non è qualcosa da aggiungere alla propria vita di fede per ravvivarla.

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(26.5.09)