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(24.06.10)

 Frutti buoni e cattivi del Concilio Vaticano II

Da un articolo di Eugenio Corti del 1976:
...Quali sono quei “frutti”? In cosa c'è oggi autentico regresso rispetto a dieci anni fa? Elencherei per sommi capi come segue: i cattolici allora erano uniti, mentre adesso sono divisi; allora avevano le idee chiare, e oggi le hanno confuse; la pratica religiosa si è rarefatta nei giovani, mentre negli anziani c'è intiepidimento (si è assistito qui a fenomeni per niente comici, come la corsa delle nubili di mezza età a rifarsi delle mancate esperienze sessuali: possiamo forse meravigliarcene, col permissivismo «purché ci sia l'amore» che è subentrato in questo campo?) Ma proseguiamo nella sgradevole elencazione: dopo l'abbandono dello stato sacerdotale da parte di molti sacerdoti, si assiste a un grave calo nelle vocazioni. (M'ha impressionato al riguardo una citazione del defunto vescovo di Ragusa mons. Pennisi: «La mancanza attuale delle vocazioni è, tra tanti pericoli, quello mortale per la Chiesa, ed è insieme il castigo più tremendo di Dio».)
E che dire dell'oggettivo stato di dissoluzione (comunque lo si chiami) di organizzazioni cattoliche fino a dieci anni fa fiorenti, come l'Azione Cattolica, la FUCI, le ACLI, ecc? E del pazzesco fenomeno di autoliquidazione di tanta parte della cultura cattolica, per cui le nostre università invece di dare il loro contributo in un'epoca difficile come l'attuale, sono in pratica come inesistenti? E ancora: si avevano ogni anno nel mondo anglosassone alcune centinaia dì migliaia di conversioni al cattolicesimo, che oggi non si verificano più. Tra i popoli del terzo mondo l'azione dei nostri missionari continua grazie al Cielo a dare i suoi frutti: vediamo però che i missionari, mentre si affaticano sulla messe, sono di continuo costretti a difendersi alle spalle, mediante le loro modeste riviste, dagli attacchi di chi vorrebbe in nome del Vangelo (!) intralciare il loro lavoro...


Nel 1968 dei giovani universitari provenienti dalla Gioventù Studentesca di don Giussani pubblicarono un volantino intitolato “Comunione e Liberazione”.

Il termine piacque al don Giussani, e anche i nemici del movimento vi si adeguarono subito, etichettando spregiativamente “quelli di Comunione e Liberazione” questi giovani che invece di massificarsi nelle mode marxiste e sessantottarde, organizzavano gite, promuovevano incontri pubblici, si interessavano di cultura, pregavano, obbedivano alle gerarchie ecclesiastiche, frequentavano i sacramenti.

Secondo quanto appreso da don Giussani, la “liberazione”, parolone comunista che a quei tempi indicava confusamente la piena realizzazione dell'uomo, poteva avvenire solo in una “comunione”, intesa in senso cristiano (anche il riferimento ai sacramenti non sarà stato casuale).

Lo sbando terminerà proprio nel 1975-'76, quando il movimento si consoliderà nella forma che è andata avanti fino ad oggi.

Le “fiorenti” organizzazioni cattoliche si ridurranno da un giorno all'altro all'ombra di sé stesse.

Pochi (e piccoli) ambienti sembreranno immuni dal nefasto influsso sessantottardo (spacciato per “postconciliare”).

Uno di questi ambienti è CL: la pratica religiosa dei suoi giovani non è “rarefatta”, i suoi anziani non sono “intiepiditi”, le sue vocazioni non sono decimate, hanno idee chiare e baldanza da vendere.

Papa Paolo VI lo riconobbe, e disse a don Giussani: non capisco i vostri metodi ma vedo i risultati, perciò continuate così, andate avanti.

E perciò siamo andati avanti.

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(1.11.07)