Questa è una delle più belle canzoni che io abbia mai ascoltato.
Judas Priest, Run of the mill (dal loro primo album Rocka Rolla del 1974). Lunghissima - otto minuti e mezzo - con una spettacolare parte strumentale, ed un testo che la esalta ancora di più.
What have you... achieved, now you're old?
Did you fulfill ambition, do as you were told?
Or are you still doing the same this year?
Should I give sorrow, or turn 'round and sneer?
I know that the prospects weren't all that good...
But they improved, and I'd have thought that you could
have strived for that something we all have deep inside:
not let it vanish, along with your pride!
Now with the aid of your new walking stick
you hobble along through society thick
and look mesmerized by the face of it all:
you keep to the gutter in case you fall...
I can't go on...
I can't go on...
I can't go on...
I can't go on!
I, I, I, I...
Di fronte a una canzone del genere, non solo quella ridicola spazzatura di Jugulator ma anche tutta la loro produzione degli ultimi vent'anni fa una pessima figura.
Gli ultimi due minuti e mezzo sono un pezzo da antologia, da riascoltare decine di volte consecutive.
In sintesi: il protagonista, in vecchiaia, avverte quel vuoto che neppure il successo tanto bramato e tanto agguantato ha potuto riempire.
La lunghissima parte strumentale lascia immaginare il nonnetto passeggiare di domenica pomeriggio negli affollati giardini pubblici o in una stradina di campagna, lentamente, col suo nuovo e luccicante bastone da passeggio, riflettendo tra sé e sé, con quel grido lacerante che sembra fargli scoppiare il cuore.
È l'ultima frontiera del senso religioso, l'ultimo straziante grido (“non posso andare avanti”) che sgorga dall'uomo che non ha ancora riconosciuto che c'è Altro.
La canzone, assolutamente struggente, ha un finale “aperto”.
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