Ad un amico che mi chiedeva delicatamente[1] quali fossero le procedure per entrare in seminario[2] e diventare prete…
Se uno crede di essere chiamato al sacerdozio, la cosa più ovvia è chiedere a qualche sacerdote di fare un cammino di verifica[3] poiché non si diventa preti col solo desiderarlo, non si diventa preti acquistando un qualche kit pretesco al supermercato sotto casa.
Fin dall'inizio si tratta infatti non di una faccenda burocratica ma una rete di rapporti di fiducia[4].
Un prete (se convinto di riconoscere una vocazione[5]) sponsorizza[6] un “aspirante” presso il proprio vescovo (in caso di “diocesani[7]”) oppure presso il proprio superiore (in caso di “religiosi[8]”) e dopo un po' di colloqui[9] ed un periodo di prova[10] (tipicamente un anno, consistente in incontri e tempi passati in strutture simil-seminario) lo presentano[11] a un rettore di seminario per il periodo di “seminario maggiore” (cioè il ciclo[12] di formazione[13], che dura cinque o sei anni[14]). Certo, lo sappiamo tutti che quando uno avverte di essere chiamato alla vita sacerdotale, quasi quasi vorrebbe “diventar prete subito”, è perfettamente normale. Ma come per tutte le cose serie, come per tutto ciò che impegna il resto della propria vita, è bene andarci cauti[15] e seguire i “tempi tecnici” che la Chiesa, con la sua lunghissima esperienza, ha stabilito[16].
La vita in seminario è vita di preghiera (Messa[17], liturgia delle ore[18], ecc.[19]; dunque non è solo questione di superare esami) e di studio (filosofia e teologia, livello quasi universitario[20], dipende dalle facoltà teologiche, esami ogni semestre), e ovviamente vita comunitaria (inclusi turni di lavapiatti[21], ecc.); inoltre, nel periodo estivo (e nei fine settimana di tutto l'anno, più i periodi festivi di Pasqua, Natale, ecc.) si fa “servizio pastorale” (orrendo termine che significa attività caritativa e liturgica presso qualche parrocchia o istituto religioso, sempre scelto dai superiori ogni anno).
È poi il vescovo (o il superiore religioso), a seconda dei risultati conseguiti (più nella vita comunitaria di seminario che nello studio, anche se per diventare prete occorre bene o male superare tutti gli esami[22]) a far “avanzare di carriera” (ammissione tra i candidati agli ordini sacri, lettorato, accolitato[23]) il seminarista[24].
Al termine del seminario, c'è il periodo di verifica per l'ordinazione diaconale (in genere un annetto, spesso anche assai meno, dipende dai posti e dai vescovi), dopodiché, dopo qualche mese dall'ordinazione diaconale, se è ancora andato tutto bene[25], c'è l'ordinazione sacerdotale (e si può celebrare Messa; per confessare seguirà, dopo qualche settimana, il permesso esplicito del vescovo[26]); il vescovo, poi, provvede a inserire[27] in qualche parrocchia il neo-sacerdote (per gli ordini religiosi, in qualche casa[28] dell'ordine).
La prassi è leggermente diversa da posto a posto, e raramente cambia qualcosa l'essere già laureati o l'essere avanti negli anni[29]. La costante fondamentale è la fiducia del vescovo (mancando la quale, il seminarista non andrà avanti) o del superiore religioso[30].
In qualche caso la famiglia del seminarista (o la sua parrocchia di origine) deve pagargli le spese del seminario[31] o una percentuale delle stesse (fino a diverse migliaia di euro[32] all'anno); comunque, nessuno rimane mai a terra perché senza soldi[33].
I seminari diocesani non sono tutti rose e fiori, poiché capita (purtroppo) che ci finisca dentro gente che ha un'idea un po' curiosa[34] della “vocazione”. Inoltre lo studio è reso complicato dalle mille attività di seminario (dev'essere una bella rogna tentare di studiare e per una settimana intera ritrovarsi addetto alle pulizie, cerimoniere alla Messa solenne perché il cardinale viene a far visita, festa di compleanno del rettore, incontrino sulla pace e altre perdite di tempo[35]… voci maliziose dicono che di ogni anno di seminario – che comincia in genere a fine settembre – “fino a Natale non si riesce a studiare niente”).
In caso di vocazione, è bene andarci estremamente cauti: farlo sapere solo al proprio direttore spirituale e confessore, non parlarne con nessuno, neppure con gli amici più fidati, neppure con l'amico (o amica) del cuore, neppure ai propri genitori (non sto scherzando).
Discrezione! Vivere normalmente[36], e confrontarsi sulla questione esclusivamente con il proprio direttore spirituale[37] e con il proprio confessore (generalmente sono la stessa persona). Quando i tempi saranno maturi[38] (cioè, per esempio, dopo che il vescovo ha stabilito la data di ingresso in seminario) sarà il direttore spirituale ad importi, per obbedienza, di parlare della tua vocazione ad amici e parenti.
La discrezione elimina infatti un sacco di imprevedibilissimi e fastidiosissimi problemi.
Mi spiego meglio: il parlarne con una persona che magari riteniamo “importante” per un qualsiasi motivo, finisce sistematicamente per distrarci, poiché s'insinua il virus del “ma cosa ne penserà[39] lui/lei/tizio/caio/sempronio di quello che intendo vivere?” Si finisce, più o meno involontariamente, nel considerare la propria vocazione in base alle impressioni altrui[40], proprio nel periodo più delicato![41]
La discrezione non è impossibile: io stesso ci sono riuscito per oltre quattro anni. Non si tratta di giocare agli “agente 007” o ai carbonari; si tratta piuttosto di difendere il proprio cammino vocazionale nel periodo in cui è più debole e più soggetto ad influenze esterne. Prendono delle belle cantonate proprio quelli che si illudevano di avere un carattere “forte”, “superiore” a certe cose, impermeabile ad “influenze” esterne, ecc.[42]
Il direttore spirituale è tenuto al segreto[43], ed ovviamente chiederà di venire allo scoperto[44] solo quando si tratta di cominciare “pubblicamente” il cammino di formazione (per esempio quando sia prossima la data per entrare in seminario[45]).
Ovviamente è bene andarci assai prudenti anche con lo “sponsor”, che se cambia idea sulla presunta vocazione son brutte rogne (nel senso che uno non va a scegliersi il prete volubile che non vede l'ora di dire di sì anche ad un mulo[46], salvo poi cambiare idea con la stessa facilità un po' di anni dopo): ho presente purtroppo qualche caso del genere[47].
Coraggio, coraggio! Il cammino non è facile, ma non è neppure difficile. Per rendertelo difficile, per rincitrullirti all'ennesima potenza, basta commettere uno di questi colossali errori (ne cito solo qualcuno, ma la lista sarebbe lunghissima):
1. trascurare (o peggio non avere) il direttore spirituale, non seguirne le indicazioni, ecc.
2. trascurare la frequenza ai sacramenti (anzitutto confessione e comunione);
3. trasformare la possibile vocazione in qualcos'altro (argomento di discussione con gli amici, metodo per ottenere stima dai parenti, strumento per l'autostima o riempitivo del tempo libero, ecc.)
4. esagerare con le attività di parrocchia[48] per qualsiasi motivo (dalla vanità all'attivismo, dalla sindrome da crocerossina[49] ai ritmi da “maratoneta delle preghiere”, dall'onnipresenza maniacale in ogni cosa che riguardi la parrocchia, al “mestiere alternativo” in caso di problemi con l'università o col lavoro…)
Tutto quanto detto sopra vale, praticamente senza modifiche, anche per le vocazioni femminili[50]. Sostituite “vescovo” con “superiora”, sostituite “seminario” con “convento” o “monastero”, sostituite i dettagli (accolitato, diaconato, sacramento dell'ordine, ecc.) con “probandato”, “noviziato”, “professione temporanea”, “voti solenni”, ecc., e in linea di massima avrete ugualmente indicazioni concrete[51].
Anche per le ragazze è importante che il direttore spirituale sia un sacerdote[52], poiché salvo casi veramente rari, una donna, anche se suora o monaca, non può avere la stessa intelligenza nel capire i problemi, nell'andare al fondo delle questioni, nel saperne parlare ad una ragazza (diciamoci la verità: le questioni di cui si può parlare solo tra donna e donna[53] sono veramente poche[54]).
1) Questa pagina con tutte le sue note era apparsa sul blog “Astiterunt Reges Terrae” prima che fosse chiuso a marzo 2007.
2) C'è anche il sito Vocazione.org, veramente ben fatto e curato da persone serie. Sconsiglio tutti gli altri siti che riguardano anche lontamente le vocazioni, poiché spesso mescolano cose serie e cose molto poco serie, e non vale la pena rovistare nella spazzatura per la sola ebbrezza di trovare di tanto in tanto qualcosa di decente.
3) Cammino di verifica significa che potrebbe anche verificarsi qualcosa di diverso. Uno può partire per diventar prete, e poi scoprire di essere chiamato piuttosto a diventare monaco (e magari di clausura). Ho qui il caso di un amico che stava per entrare in un seminario diocesano ma durante il periodo di prova ha capito di esser fatto piuttosto per i francescani (ed oggi è lì da loro). Ho qui il caso di un carmelitano e di un salesiano che sono poi passati alla diocesi. Ho qui diversi casi di gente che entra in pompa magna in seminario e… e poi dopo qualche anno lascia tutto per i motivi più diversi (perché preferisce sposarsi, perché ha un esaurimento nervoso, perché è stanco della vita di seminario, eccetera). Chi parte in fretta, parte certamente col piede sbagliato.
4) “Rapporto di fiducia”, esatto. Il vescovo (o il superiore religioso) ha tutto il diritto di dirti che non sei adatto al sacerdozio, ha tutto il diritto di mandarti via perché non ha più fiducia in te, anche se sei ancora convinto di “avere la vocazione”, anche se il direttore spirituale è convinto che “hai la vocazione”. E in questi casi non puoi protestare, non puoi “portarlo in tribunale”, perché a decidere della vocazione è lui. Infatti è il vescovo (o il superiore religioso) a dover stabilire se hai almeno i germi della vocazione e se la vocazione è idonea all'ambiente in cui stai per entrare (in termini più esatti, la vocazione sacerdotale si realizza con l'ordinazione). Alcuni, di animo guerrafondaio, credono che la questione del sacerdozio sia risolvibile in tribunale ecclesiastico, come se il riconoscere una vocazione non partisse da una questione di fiducia reciproca ma di applicazione di regolamenti e leggi così come avviene nella giurisprudenza civile. E invece no: si tratta di fiducia, per cui ogni vescovo ha il suo metro di giudizio, ogni rettore di seminario ha il suo metro di giudizio, e se smettono di fidarsi di te non puoi ricreare la fiducia a colpi di regole e regolamenti, magari scavalcando i loro superiori e facendo ricorso sempre più in alto, fino al Papa…
5) Non sei tu che devi convincere lui, ma è lui a dover decidere; è lui a dover capire se ci sono indizi di una vocazione o se è una infatuazione passeggera.
6) Il termine “sponsorizza” descrive bene la cosa proprio perché si tratta di rapporti di fiducia. Un vescovo si fida dei suoi preti, un superiore di una comunità religiosa si fida dei suoi religiosi: non ci si può mica presentare di punto in bianco a un vescovo (o a un superiore religioso) per dirgli “ho la vocazione” e pretendere che lui si fidi ciecamente. L'ordine sacro è – per l'appunto – un sacramento, non un incarico distribuibile a chiunque ne faccia richiesta, e nessuno è mai morto per la mancanza dell'ordine sacro. Un vescovo può ordinare sacerdote uno che abbia ai suoi occhi anche i soli requisiti minimi indispensabili, e può non ordinare uno che abbia ai suoi occhi tutti i migliori requisiti tranne uno secondario che però lui ritiene necessario…
7) Attenzione alla terminologia. I preti in servizio nelle parrocchie e dipendenti direttamente dal vescovo locale sono quelli “diocesani”. Tutti gli altri sono invece detti “religiosi” (ordini religiosi come i francescani, i benedettini, i salesiani, i pallottini, carmelitani, ecc.) e fanno capo al proprio superiore religioso (ogni comunità ha un suo superiore, questi ultimi sono a loro volta retti da un superiore maggiore, ecc.) Spesso càpita che una parrocchia sia affidata ad un ordine religioso, ma in quel caso si è soggetti sia al vescovo locale che al superiore religioso. Altra importante differenza è che i preti diocesani possono essere spostati dal vescovo ad altra parrocchia nell'ambito della stessa diocesi (un prete della diocesi di Milano non viene certo spostato alla diocesi di Como), mentre i religiosi possono essere assegnati a case religiose anche molto lontane – anche dall'altra parte del mondo, anche quando non si tratti di comunità esplicitamente missionarie. È per questo che qui si scherza sempre sul fatto che i diocesani stanno “sotto casa loro” e i religiosi prima o poi “vengono spediti altrove”.
8) La formazione di un sacerdote diocesano raramente avviene assai lontano dalla diocesi; la formazione di un religioso avviene invece laddove i religiosi hanno il proprio “studentato” o “seminario” o “casa di formazione”. Diversi ordini religiosi prevedono che almeno nell'anno di noviziato non si possa neppure tornare a casa dai genitori. È ovvio che l'entrare in diocesi o l'entrare in un ordine religioso avviene solo dopo aver raggiunto una consistente e ragionevole certezza per il futuro: io non entro certo in un ordine missionario se non sono già di tutto cuore disposto ad andare in qualsiasi momento nel posto in cui il superiore mi vuole, sia che si tratti della parrocchia sotto casa mia, sia che si tratti della comunità più remota del pianeta e più povera e perseguitata… A parole è facile dirsi pronti, ma quando si sta da anni in un posto e il superiore decide che c'è bisogno di te dall'altro capo del mondo, come la metti? Se quando avrai ottant'anni un tuo superiore con la metà dei tuoi anni ti chiedesse per obbedienza di andare dall'altra parte del continente, come la metti? (vero è che superati i trenta-quarant'anni, diventa difficile perfino l'obbedienza del trasferirsi duecento metri più in là).
9) I colloqui servono per conoscersi. Non è una procedura formale, non sono i colloqui che si fanno per essere assunti in un'azienda nei quali occorre dimostrare di sapere chissà cosa (e del resto, dopo anni di formazione, l'entusiasmo esplosivo iniziale non c'è più).
10) Questo periodo di formazione prima dell'entrare in seminario maggiore serve anche per verificare la capacità di vita comune: vivere almeno sei giorni su sette nella comunità di un seminario non è una cosa che può affrontare di punto in bianco una persona abituata a lavorare, a stare in famiglia, a trovare il letto rifatto, i calzini lavati e stirati, l'armadio in ordine, il piatto in tavola e il caffè già pronto, ecc. (figurarsi poi in quelle comunità religiose dove si potrà tornare a casa solo una settimana all'anno). Sarà il vescovo (o il superiore religioso) a decidere se è necessario, ed a stabilire modi e tempi.
11) I rettori delle case di formazione si fidano ovviamente solo dei candidati che vengono loro presentati da un vescovo o dal superiore di una comunità religiosa. I rettori e i formatori possono anche non accettarne, per un qualsiasi motivo (ricordo un caso in cui non si poterono accettare nuovi seminaristi perché nel seminario in questione non c'era più posto).
12) Il termine burocratico “formazione” dice troppo poco di quel che è la vita di seminario, che è vita comunitaria, vita di preghiera, vita di studio, direzione spirituale, ecc.
13) Beh, se la vocazione c'è davvero, dover aspettare quattro o dieci anni non fa gran differenza: per esempio, se uno vuole davvero diventare sacerdote tra i salesiani, non si sentirà affatto a disagio nel sentirsi dire che la formazione lì dura nove anni. Il fatto che ad alcuni la formazione potrebbe essere stabilita in modo più “comodo” della tua, potrebbe prima o poi farti rodere il fegato dall'invidia… Ho conosciuto personalmente un sacerdote cinese sistematicamente ostacolato dal regime. È stato finalmente ordinato sacerdote dopo ventisei anni di seminario! Più precisamente, ogni anno di seminario la burocrazia comunista lo bloccava per due, tre, quattro anni, ogni volta che ricominciava gli inventavano ostacoli per farlo desistere… Poi ti racconterò più in dettaglio.
14) Il Codice di diritto canonico richiede almeno quattro anni, ma i vescovi e le conferenze episcopali possono decidere tempi più lunghi (così come generalmente avviene in Italia). Inutile precisare che è a totale discrezione del vescovo (e dei sacerdoti a cui affida la tua formazione): ho presente un caso in cui tutti i seminaristi di un seminario sono andati a sindacare dal vescovo per il fatto che uno dei seminaristi era stato trasferito in un seminario dove avrebbe risparmiato un anno di cammino (protesta inutile, ovviamente). Poveri idioti… l'invidia è una brutta bestia.
15) La cautela è un equilibrio, e pertanto non la si impara leggendo un libro. Questo è uno dei tanti motivi per cui è indispensabile farsi seguire da un buon sacerdote (“direzione spirituale”).
16) L'invenzione dei seminari è alquanto tardiva: fu san Pio V, quasi cinque secoli fa, a stabilirli come obbligatori per la formazione sacerdotale. Lo scopo è ovviamente quello di garantire che ogni sacerdote abbia tutta la formazione e la cura necessaria.
17) Oltre alla Messa quotidiana, ogni giorno c'è la celebrazione comunitaria della liturgia delle ore, cioè delle Lodi al mattino, dell'Ora Media verso mezzogiorno, dei Vespri verso sera, più altri incontri di preghiera (Rosario, Adorazione eucaristica, Angelus, Compieta, Visita al Santissimo, ecc., a seconda dei casi e dei posti) più ovviamente le preghiere che ognuno recita personalmente secondo il proprio stile (preghiera del mattino, preghiere della sera, ecc.) Per esempio, da noi, il Rosario ognuno lo recitava per conto suo perché non era previsto dalla regola di preghiera del seminario (certo, molti non lo recitavano, ma questo non m'interessa); per di più, la liturgia delle Ore era qualcosa di snervante, perché molti “trascinavano” la recita e il canto in una maniera che ho sempre detestato.
18) Accade spesso che il primo impatto del seminario è questa “sbornia di preghiere”, per cui gente che abitualmente pregava poco si sente a disagio già dopo i primi giorni. Specialmente quelli che pensavano “beh, entrando in seminario mi abituerò, poi vedrò, saprò trovare un modo”. L'Ufficio divino e la Liturgia delle Ore sono tipici dei preti e delle persone consacrate (monache, frati, suore, ecc.) e sono obbligatori per tutti i diaconi, preti e vescovi (a partire dal diaconato ci si assume l'impegno, vita natural durante, a recitare l'Ufficio e la Liturgia delle Ore quotidiani). Sono costretto a precisarlo poiché molti, anche ventenni, credono erroneamente che “fare il prete” consista nel fare prediche, gestire le cose di parrocchia e – se di tanto in tanto avanza tempo – perfino pregare un pochino… Se è vero che alcuni preti pregano pochissimo, ricordati che normalmente un prete non ama farsi vedere mentre prega, e pertanto tanta gente pensa che tutti i preti preghino poco e niente.
19) C'è anche il caso estremo opposto: di tanto in tanto càpita qualcuno maniacalmente infoiato che fa delle “maratone di preghiera”, e che è tentato di pretendere che tutti gli altri facciano altrettanto, magari anche scandalizzandosi per il fatto che qualche prete preghi meno (e meno “sentitamente”) di lui. Questo vale a volte anche per l'aspetto morale (per esempio certuni di un'eccessiva “ascetica” e fanatici dei digiuni e delle preghiere) o per certi signorini baronetti (incapaci di accettare l'idea che il vicino di camera mentre dorme possa anche russare, e banalità del genere). Tutte queste cose sono facilmente catalogabili nel moralismo. Questa gente, che dopo il primo impatto col seminario si sente più forte di Superman (e magari arrogandosi il diritto di giudicare severamente tutti gli altri), col passare del tempo si sgonfia da sola: il cristianesimo (e quindi la formazione al sacerdozio e alla vita consacrata) non è banalmente riducibile ad un elenco di regole da osservare e di comportamenti da misurare. Sei tu che devi adeguarti ai ritmi del seminario, non è il seminario che deve adeguarsi a ciò che oggi ti va a genio.
20) Certamente il baccalaureato in filosofia e teologia è molto più semplice da conseguire di una normale laurea in filosofia all'università, anche per uno che non provenga da studi classici. Inutile dirlo, occorre studiare, ed occorre adattarsi a una terminologia e a un metodo che non sono quelli degli istituti tecnici e delle scuole alberghiere. Comicamente, alcuni commilitoni provenienti dagli studi classici non avevano problemi col greco e col latino, ma facevano fatica con la filosofia (più di quelli che venivano dall'alberghiero) perché avendola già studiata in precedenza finivano per sottovalutarla.
21) Un po' di lavoro manuale è indispensabile perché altrimenti si perde il contatto con la realtà. Chi vive esclusivamente di prediche, di libri e di discorsi, col passare degli anni finisce per diventare stralunato anche non volendolo.
22) A chi non è completamente negato per gli studi, spesso il vescovo chiede di arrivare alla cosiddetta “licenza”, cioè un biennio di studi in più dopo il baccalaureato filosofico-teologico. Quest'ultimo infatti equivale ad un “diploma universitario” (laurea breve), anche se gli anni di studio erano cinque o sei; invece, dopo aver fatto anche il biennio di specializzazione e pubblicata la tesi di licenza, si ha (finalmente) l'equivalente di una laurea. A voler studiare teologia ce n'è per tutti i gusti, tra specializzazioni e licenze; di solito il vescovo può chiedere qualcosa che sarà utile per un futuro incarico in diocesi (per esempio ad A., che aveva conseguito una laurea in giurisprudenza prima di entrare in seminario, fu chiesta la specializzazione in Diritto Canonico, in modo che dopo l'ordinazione sacerdotale potesse lavorare nella Curia diocesana oltre che nella parrocchia).
23) Generalmente si viene ammessi tra i candidati agli ordini sacri dopo il secondo anno di seminario maggiore; l'anno successivo si viene istituiti lettori, e l'anno successivo si viene istituiti accoliti. Chiaramente non si tratta di diritti ma di decisioni del vescovo; ho qui presente un caso di un seminarista che dopo aver terminato il seminario e gli studi era ancora “indietro” con la carriera (era cioè ancora lettore, ancora non istituito accolito, perché il vescovo non giudicava ancora completa la sua formazione).
24) Quanto all'uso del clergyman (l'abito da prete, quello con giacca e colletto) o della veste talare (impropriamente detta “sottana” o “tonaca”), è bene precisare subito che ci si potrà vestire così solo dopo l'ordinazione sacerdotale (anche se nelle celebrazioni liturgiche dei seminari si richiede in genere che i seminaristi utilizzino la talare e la cotta, fin dal primo anno). La situazione varia da posto a posto; i vescovi italiani generalmente non gradiscono che un seminarista vesta la talare; alcuni vescovi ammettono l'uso della talare o del clergy negli ambienti chiusi (nell'ambito della parrocchia, del seminario, o a casa propria) a partire da dopo il rito di ammissione agli ordini sacri. Purtroppo è capitato molto spesso che i “fanatici” del “travestirsi da prete”, una volta ordinati preti, hanno dimenticato tutto quel fervore e vanno in giro smandrappàti e stravaccàti, magari con la scusa che vestire la talare sarebbe “da bigotti” (oppure sarebbe “scomoda”, o ancora “fa sudare”, ecc.) Per di più, l'uso della talare fa spesso ricevere accuse di “tradizionalismo lefebvriano” e robe del genere. Diverso è il discorso per gli ordini religiosi, che generalmente hanno un proprio abito, che in alcuni casi è obbligatorio già dopo pochi anni dall'inizio del cammino di formazione. Il rito della vestizione è ormai sparito quasi del tutto.
25) Sono costretto a questa precisazione perché ho presenti diversi casi di gente che dopo l'ordinazione diaconale o ha combinato grossi pasticci o per altri motivi ha chiesto di (o è stata costretta a) rinviare a lungo termine l'ordinazione sacerdotale.
26) Esatto: qualsiasi sacerdote, per confessare, a meno che non si tratti di un penitente in pericolo di vita o di morte, deve aver necessariamente il permesso del vescovo, che nel darlo può anche limitarlo in vari modi (di tempi, di persone, ecc.) Nella maggioranza dei casi il vescovo, entro poche settimane dall'ordinazione, dà la facoltà di confessare senza particolari limitazioni (se non per i casi gravissimi riservati al vescovo stesso o alla Santa Sede). Fra parentesi: pensa che perfino un sacerdote scomunicato può in articulo mortis (nell'imminenza di pericolo di morte) dare validamente l'assoluzione sacramentale. L'ordinazione, come il matrimonio, non è una cosa che si può “togliere”; al più, in alcuni casi, se ne può riconoscere la nullità. Ma un sacerdote scomunicato (e che anche abbia cessato tutte le attività sacerdotali da decenni), in articulo mortis può ancora validamente dare l'assoluzione.
27) Dopo l'ordinazione sacerdotale, in Italia, c'è lo “stipendio” del prete ricavato dai soldi dell'otto per mille (esatto, i quasi cinquantamila sacerdoti italiani – due terzi dei quali “diocesani”, gli altri “religiosi” – vengono «stipendiati» grazie a una larga fetta dei ricavi dell'otto per mille). Quanto più è grande la parrocchia, tanto più lo stipendio è piccolo, poiché si presume che in una parrocchia grande le offerte per i sacramenti siano più consistenti. Le offerte fatte alla parrocchia (quelle per i ceri davanti alle statue, quelle che si raccolgono durante la Messa, ecc.) vanno direttamente per le spese della parrocchia (bollette, pulizia chiesa, attività della parrocchia, manutenzione impianti, ecc.) Al prete, dunque, restano solo lo “stipendio” e le offerte per i sacramenti. Tra tutti i preti che conosco, l'aspetto economico varia dal “furbone” (che riesce a usare anche dei soldi della parrocchia) all'eccessivamente “generoso” (che anticipa di tasca sua – e spesso a fondo perduto – le spese della parrocchia). Con mia grande sorpresa, i “furboni” sono pochi e quelli eccessivamente generosi sono in tanti. L'ultimo che mi è capitato, è uno che ha anticipato di tasca sua migliaia di euro per le spese dell'oratorio parrocchiale, ben sapendo che non li avrebbe mai più rivisti (e ben sapendo che nell'arco di pochi anni sarebbe stato trasferito ad altra parrocchia). L'equilibrio, e cioè pagare le spese della parrocchia con le offerte dei fedeli, e lasciando al sacerdote solo quel piccolo “stipendio” e le offerte per i sacramenti, è un caso frequente ma non di maggioranza. Tra i generosi dobbiamo riconoscere particolare merito a quelli che non si lamentano. Il fatto che la categoria dei generosi sia la maggioranza è indice della tendenza dei preti a diventare col passare del tempo un tutt'uno con la propria parrocchia…
28) Negli ordini religiosi generalmente tutte le spese sono a carico della casa (sulla base delle offerte dei fedeli e delle “rendite” dell'ordine), ma il voto di povertà impedisce che qualcuno possa “arricchirsi” di cose che non c'entrano con la vita religiosa. Infatti per i religiosi è già un gran bel lusso poter avere una propria piccola biblioteca (ti parlo di suor C. e dei suoi tre scaffali di libri) che, in quanto materiale “di studio”, non è in conflitto col voto di povertà. La Fiat Brava del don C. era necessaria poiché in quanto “delegato alla pastorale giovanile” per tutta l'ispettoria, doveva macinare non meno di 50-60mila chilometri l'anno (cosa non proprio praticissima con una Fiat Uno): anche in tal caso non è lusso ma povertà (povertà nel senso esatto del termine: utilizza uno strumento adatto al compito che è chiamato a svolgere).
29) Conosco molti che hanno pensato ingenuamente di pretendere sconti sulla durata e sulle attività di seminario in base al fatto che avevano molto più di venticinque anni e magari erano anche laureati. Assai raramente hanno ottenuto qualcosa. Invece, quasi sempre la laurea in filosofia (costata magari colossali fatiche all'università) è valsa uno “sconto” di numerosi esami del ciclo di studi filosofico-teologici (anche se gli anni di seminario sono rimasti gli stessi). Ho qui presente il caso di un laureato che entra in seminario e padre O., uno dei sacerdoti formatori, gli dice con indifferenza: «beh, ma tu sei laureato… non possiamo mica metterti a lavare le stoviglie come gli altri!» ed il seminarista laureato ha avuto la prontezza di rispondere: «se le lavano gli altri seminaristi, non vedo perché non possa lavarle anch'io». Certamente padre O. non avrà scritto sulla relazione che il tal seminarista laureato è un aristocratico scansafatiche…
30) Come già detto, spetta all'Ordinario decidere insindacabilmente l'idoneità di un candidato al sacerdozio.
31) Negli ordini religiosi ciò accade raramente. A suo tempo, la “dote” che un aspirante religioso o religiosa portava alla comunità era una forma di contributo alle spese (chi ti dà da mangiare? chi ha pagato la costruzione o la ristrutturazione del convento? chi paga le bollette? ecc.) Il don A., che aveva accumulato un po' di soldi lavorando prima di entrare in seminario, li ha usati per comprarsi libri di studio, libri liturgici, e soprattutto quel bellissimo calice dorato e quei paramenti da Messa talmente ricchi da far indignare i suoi vecchi amici del liceo, esperti di taccagneria, pronti ad accusare la “ricchezza” dei chierici, pronti a stracciarsi le vesti e a essere peggio di Giuda Iscariota quando disse: «ma quel vasetto di profumo, trecento denari, li potevamo dare ai poveri»… Ciò che si spende per Cristo non è mai uno spreco. Lo sanno bene i francescani, da quando san Francesco d'Assisi comandò loro grandissima povertà ma di non impoverire mai gli arredi sacri, non risparmiare mai sulle cose della liturgia.
32) Solo chi non ha gusto fa coincidere la bellezza con lo sfarzo. Il calice non deve sembrare un bicchiere, ovviamente; ma – all'opposto – non è necessario che sia tempestato di diamanti. La tradizione ha un suo “stile” per i calici, perché discostarsene? Pauperismo o inutile sfarzo non servono ad abbellire, ma solo ad abbruttire. La bellezza esprime significato (ed è anzitutto per questo che è così necessaria nelle chiese e nella liturgia), e pertanto siamo pronti a spendere anche migliaia di euro per un calice riconoscibile come tale da chi partecipa alla liturgia. “Sontuoso” non significa “lussuoso”.
33) A volte è il parroco che “sponsorizza” la vocazione pagando di tasca sua – o con le offerte dei fedeli – le spese di seminario. In altri casi è il vescovo a far fronte alle spese (conosco personalmente un vescovo che ha pagato le spese di seminario di tutto il quinquennio a tutti i suoi seminaristi, ed ho notizia che si tratta di un caso molto comune). Secondo alcuni, il non far pagare nulla delle spese del seminario dà al vescovo il diritto di mandare via in qualsiasi momento il seminarista che non gli vada a genio (questo diritto già ce l'ha, ma se il seminario è gratis allora tale diritto diventa ancora più evidente). Secondo altri, il far pagare parte delle spese del seminario serve per tener lontane quelle finte vocazioni parcheggiate per qualche anno in seminario a perdere tempo (solo chi è davvero convinto è disposto ad affrontare sacrifici economici pur di andare avanti). De gustibus. Se toccasse a me, preferirei non far pagare nulla e contemporaneamente verificare di persona le singole vocazioni.
34) Questo problema nasce dal fatto che la selezione oggi è molto meno dura di trenta-quarant'anni fa: dato che le vocazioni scarseggiano, allora si tende talvolta ad essere meno severi. Meno severi significa che i formatori dicono: «beh, migliorerà, beh, col passar del tempo, beh, vedremo…» E così accade che certi soggetti effeminati, sfaticati, vanitosi, esauriti, o tutte queste cose insieme, arrivano alle soglie dell'ordinazione sacerdotale. Come sempre, a guardare un cesto di mele, quella marcia spicca sempre di più. Quando vedi un pessimo prete, sta' pur sicuro che con una probabilità dell'80% è stato “pessimo” anche durante il periodo del seminario.
35) Il numero di attività dei seminari varia da “elevato” a “molto elevato”, con punte di “elevatissimo”. Sta' pur tranquillo che la vita di seminario, ovunque tu vada, non sarà mai una pacchia (anche se di tanto in tanto capiterà qualche giornata con nient'altro da fare che mangiare e pregare). E puoi essere assolutamente certo che almeno una discreta percentuale di quegli incontri e attività di seminario ti sembrerà inutile (inutile a te, ma non necessariamente per tutti i seminaristi, e così ti toccherà ugualmente sorbirti quella sbobba): pazienza!
36) Sono convinto che solo chi ha un lavoro stabile può pensare seriamente al sacerdozio. Avere un lavoro stabile, volenti o nolenti, significa avere orari da rispettare, responsabilità, senso del dovere. Le peggiori vocazioni vengono per gran parte dai super-attivisti delle parrocchie: se uno arriva a venticinque anni senza titoli di studio, senza lavoro, senza fidanzata, e cioè senz'aver fatto altro nella vita che “tante attività di parrocchia”, in nome delle quali chiede di entrare in seminario, ebbene, sono convinto che è un pessimo punto di partenza. Il sacerdozio non è un mestiere per gente che non sa fare nient'altro che attività parrocchiali, non è un incarico per gente vissuta sempre all'ombra della sacrestia e accudito da mammà e finanziato da papà e zià e nonnà… e soprattutto non è un'attività per chi non riesce a fidanzarsi come gli garberebbe.
37) Se uno è studente universitario, gli si chiede generalmente di completare il ciclo di studi (non vale la pena lasciare l'università quando hai una buona media e sei già a metà degli studi: la laurea può servirti anche da sacerdote… nel peggiore dei casi come apertura mentale). In ogni caso, anche i più sicuri della propria vocazione, devono sempre avere i piedi per terra (titolo di studio, capacità di lavorare), almeno per la condizione minima indispensabile del non essere mai tentati di pensare: “farò il prete, cioè farò tante prediche”.
38) Uno degli equivoci più frequenti è quello di chi vorrebbe accorciare i tempi di verifica perché si sente già sicuro. È ovvio che se il martedì ti viene il pallino di diventar prete e il giovedì pretendi dal padre spirituale di entrare in seminario, c'è qualcosa nella tua testa che non funziona bene. È perfettamente normale un periodo di verifica di (almeno) parecchi mesi, con un confronto col direttore spirituale settimanale, bisettimanale, mensile. Le infatuazioni vanno e vengono, e le infatuazioni “religiose” possono anche durare parecchio…
39) Il modo migliore per cadere di fronte a questo genere di tentazioni è il ripetersi: «no, a me non capiterà, saprò stare attento, non sono mica così scemo».
40) Dovrei raccontarti più accuratamente di quel povero idiota che a giugno era fidanzato, a luglio “scopre” di avere la vocazione e ne parla con tutta la famiglia e lascia il lavoro e l'università, ad agosto fa alcuni colloqui passando qualche giorno presso la comunità religiosa dove era convinto di essere chiamato, e a settembre… a settembre torna a casa con la coda tra le gambe perché è stato «aiutato a capire» che quella non era la sua strada (ma guarda un po' cosa succede a trascurare il “direttore spirituale”). Certo, nei panni della morosa, lo avrei spernacchiato abbondantemente (pare però che lei, infuriata per la storia, abbia nel frattempo provveduto a fidanzarsi con un altro; per il lavoro non c'è stato niente da fare, e dunque il tizio ha ricominciato stancamente con l'università). Non ho mai creduto alle storiette “eroiche” dei seminaristi che dicono di aver “eroicamente” lasciato la morosa per entrare in seminario. Uno che ha sofferto nel lasciarla, non va in giro a raccontarlo, tanto meno a raccontarlo a dei seminaristi, ancor meno a raccontarlo a gente che considera la morosa un oggetto “usa e getta”. E comunque c'è sempre in agguato l'equivoco della “delusione amorosa”: sta' pur certo che chiunque decide di donarsi a Cristo, non appena la cosa diventa pubblica, subito vien fuori la gente più insospettabile a chiederti: «ma hai avuto una delusione d'amore?» (quante volte, anche a me, m'è toccato di rispondere con pazienza a boiate come questa).
41) Talvolta alcuni direttori spirituali suggeriscono troppo presto di parlarne in pubblico. Sono fermamente convinto che questa è una pericolosa leggerezza; del resto, tutti i sacerdoti più seri che conosco, sono convinti – come me – che la discrezione sia essenziale. E per di più costoro (e tutte le persone che conosco come vocazioni serie alla vita consacrata) sono stati tutti discreti fino al momento giusto.
42) Ci sono riuscito per anni, e nel frattempo ho conosciuto altre persone che hanno scoperto troppo presto le loro carte, ed ho visto con i miei occhi come hanno cominciato a rincitrullirsi tra le opinioni di tizio e quelle di caio, tra l'amichetta del cuore e il vicino di casa odioso, tra il chiacchiericcio di sacrestia e le opinioni di quelli del “gruppo” in parrocchia… Che strazio, che strazio! Una cosa tua, della tua vita, tua personale, una cosa seria… ridotta ad essere oggetto di stanche argomentazioni da bar. Che strazio!
43) Tra i primissimi motivi di questa segretezza c'è la possibilità che il direttore spirituale veda qualcosa che l'aspirante prete non ha visto. Il direttore spirituale potrebbe consigliare di entrare in diocesi anziché in un ordine religioso missionario, o viceversa. Potrebbe sapere meglio di te che per il tuo carattere, per la tua attitudine allo studio, per le tue capacità, il tuo stile di vita, ecc., vivresti più realizzato e felice in quella tale comunità religiosa che in diocesi, o viceversa. Chi disobbedisce, sta sicuramente sacrificando qualcosa; chi invece obbedisce, anche se fatica a capire, non sta trascurando niente. Con la grazia si collabora, ed il direttore spirituale è uno strumento a tua disposizione per farti anzitutto capire la “forma” della tua vocazione. Un equivoco, dovuto all'ingenuità, è considerare più la forma (“sacerdozio presso la diocesi”, “voglio diventare parroco”) che la sostanza (vocazione al sacerdozio o a qualcos'altro?) con i soliti rischi di prendere grosse cantonate (nel caso in cui ci si muova autonomamente).
44) Tieni presente che nel caso in cui tu e il tuo direttore spirituale vi accorgeste che la tua vita è per il matrimonio, la discrezione avuta fino a quel momento ti garantirà un proseguimento tranquillo. Non è bello essere guardati come i vigliacchi e i deboli. Non è per niente piacevole essere additati come “il mezzo-prete che ci ha ripensato”, “quello che per un po' di mesi pensava di farsi prete”, “quella che non trovando un moroso aveva tentato di farsi suora”, “quello a cui erano venute le crisi religiose e gli son passate tutte non appena ha incontrato una femmina abbastanza disinibita”, ecc.
45) Le vocazioni provenienti dai cosiddetti “movimenti” sono ancora più delicate; il direttore spirituale deve assolutamente tener conto non solo del temperamento e delle capacità dell'aspirante prete, ma anche delle difficoltà che incontrerà nell'ambiente (religioso o diocesano) dove andrà a finire. Ho purtroppo presente diversi casi di preti che hanno sempre ubbidito al proprio vescovo o al proprio superiore, venendone ugualmente e ingiustamente perseguitati; ed ancor più ho presente casi di preti che pensando che il proprio “cammino” sia l'unico giusto di tutto l'universo, disobbediscono sistematicamente al vescovo o al superiore trascurando i propri incarichi per darsi soltanto alle comunità del cammino cui appartengono. Naturalmente, ad uno che viene da un “movimento” non si può dire “devi cancellare la tua esperienza, devi ripartire da zero” come se fosse un computer da riprogrammare. Però neppure si può autorizzarlo a professare corbellerie (liturgiche e dottrinali) di moda presso certi ambientacci sedicenti cattolici.
46) Come ti ho già detto, c'era la storiaccia di quel prete di mezza età che si crucciava perché ancora non era riuscito a procurare una vocazione alla santa Chiesa. E pertanto, quando gli è capitato il primo mulo con la vaga apparenza di vocazione, lo ha subito spedito dal vescovo… Solo dopo un certo numero di guai si è ricreduto sulla presunta “vocazione”.
47) Casi del genere (preti che cambiano idea su un aspirante al sacerdozio) sono dovuti generalmente alla pigrizia, ed al fatto che se non si è veramente convinti di una cosa, col passare degli anni si finisce spesso per cambiare idea.
48) In tutta sincerità, a chi ritiene di avere almeno gli indizi di una possibile vocazione alla vita consacrata, consiglierei caldamente di ridurre al minimo (o eliminare del tutto) le attività di parrocchia. In parrocchia tutti siamo utili e nessuno è indispensabile: la parrocchia non è un'azienda che va in fallimento qualora vadano via gli elementi migliori. La parrocchia è finalizzata anzitutto a garantire i sacramenti, l'insegnamento della dottrina della fede, ecc.: dunque non sei tu il responsabile (o la responsabile) del suo funzionamento. Accollarsi il peso delle attività di parrocchia, pur minime, non è un aiuto ma un peso nel momento in cui si comincia a verificare l'ipotesi di donarsi interamente a Cristo. Non sto scherzando. L'entusiasmo gioca brutti scherzi. Solo dopo, quando il cammino di verifica sarà cominciato stabilmente, saranno i tuoi formatori (le tue formatrici, in caso di vocazioni femminili) a indicarti cosa fare come attività “caritativa”, e difficilmente ti chiederanno di fare ciò che ritieni più comodo o ciò che ritieni più vicino alla tua sensibilità e capacità. Un po' di digiuno di “attivismo parrocchiale” nel periodo più delicato del tuo cammino è assolutamente indispensabile.
49) “Se non lo faccio io, chi lo farà mai?” Questa frase è generalmente una tentazione. Insisto molto su questo punto perché c'è gente che pensa che la vocazione sia proporzionale alle attività svolte in parrocchia. ERRORE! Qualsiasi vocazione alla vita consacrata è esclusivamente vivere per Cristo, e tutto il resto è funzionale a questo, è conseguenza di questo. Del resto, questo genere di iper-attivisti, prima o poi “fa il botto” perché non riesce più a star dietro a tutte quelle robe che si era autoinflitto prima (attività di parrocchia, preghiera personale, ecc.) quando erroneamente pensava che sia importante la quantità anziché la qualità.
50) Incredibilmente, nell'arco di venti secoli di storia della Chiesa le vocazioni femminili sono state sempre tra il doppio ed il triplo delle vocazioni maschili. Questo significa che quanto alla fede la sensibilità di una donna è statisticamente il triplo di quella di un uomo. San Giovanni Bosco diceva che qualche germe di vocazione alla consacrazione ce l'ha un giovane su tre (però ricordiamoci che «molti sono i chiamati, ma pochi sono gli eletti»). In sintesi, niente paura! La vita consacrata non è solo per i cristiani “speciali”, anzi!
51) Non entro nei dettagli per quanto riguarda le vocazioni femminili, perché altrimenti questa pagina diventa cento volte più grande. La suor M. mi raccontava che erano anni che meditava di donarsi a Cristo; aveva in mente determinate cose, ed ha tentato di entrare in un'ordine “su misura” di quelle cose… e dopo un anno è andata via perché non ne poteva più. Poi, per grazia di Dio, ha trovato un altro ordine, decisamente diverso da quello, con suore di carattere come il suo, e dopo un po' di mesi che le ha frequentate ha chiesto di cominciare un periodo di verifica. Ed oggi è suora presso di loro. La vocazione alla vita consacrata non si “decide” in base alle proprie idee. Nel negozio di scarpe, cosa fai? Compri quelle che “ti piacciono” (anche se non sono della tua misura e pertanto quando le indossi ti daranno un male terribile ai piedi) oppure compri quelle che “sono della tua misura” (e magari neanche tanto brutte come ti sembravano mentre le guardavi attraverso la vetrina)? Allo stesso modo per la vocazione: raramente quella che “ti piace” è davvero quella che “fa per te”. Ecco perché c'è bisogno di un confronto serrato e sincero (e nei tempi lunghi, non in una sola serata) con il direttore spirituale.
52) Come detto sopra, direttore spirituale e confessore possono essere la stessa persona.
53) Per le questioni riguardanti l'anima, ricordiamoci della grazia di stato dei sacerdoti.
54) Questa mia breve paginetta non ha certo la pretesa di essere una guida esaustiva, tanto meno la pretesa di sostituire il lavoro di formazione che si fa col padre spirituale (se vuoi aiuto puoi anche scrivermi una email, ma non credo di poter efficacemente sostituire il tuo sacerdote di fiducia che puoi incontrare personalmente tutti i giorni). Mi piacerebbe scrivere prima o poi un intero libro ed intitolarlo: tutto quello che avreste voluto sapere sulla vocazione e sull'entrare in seminario e che non avete mai osato chiedere, solo che nel trattare le tante varietà di stile dei vescovi, dei direttori spirituali, degli ordini religiosi, ecc., finirei per scrivere un'enciclopedia intera e ancora non riuscire a coprire tutti i possibili casi. Se questa pagina ti è stata utile, puoi vantartene dal tuo sacerdote di fiducia dicendogli: «tutto quello che avresti dovuto dirmi tu, l'ho trovato nell'internet».
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