Essa deriva sì storicamente dal Vaticano II e dal suo magistero, ma attraverso un processo di «distillazione fraudolenta» immediatamente posto in atto all'indomani dell'assise ecumenica.
L'operazione potrebbe schematicamente essere descritta così:
- la prima fase sta nella lettura discriminatoria dei passi conciliari, che distingue tra quelli accolti e citabili, e quelli da passare sotto silenzio;
- nella seconda fase si riconosce come vero insegnamento del concilio non quello effettivamente formulato, ma quello che la santa assemblea ci avrebbe dato se non fosse stata afflitta dalla presenza di molti padri retrogradi e insensibili al soffio dello Spirito;
- con la terza fase si arriva a dire che la vera dottrina del concilio non è quella di fatto canonicamente approvata ma quella che avrebbe dovuto essere approvata se i padri fossero stati più illuminati, più coraggiosi, più coerenti.
Con un metodo esegetico siffatto - non enunciato mai in modo esplicito, ma non per questo meno implacabilmente applicato - è facile immaginare i risultati.
I quali, per quanto remoti siano dalla verità cattolica, vengono sempre messi in conto al Vaticano II; e chi si azzarda anche timidamente a dissentire è segnato col marchio infamante di «preconciliare», quando non è addirittura classificato coi tradizionalisti ribelli o con gli esecrati integralisti.
E poiché tra i «distillati di frodo» dal Vaticano II c'è anche il principio che nessun errore può essere condannato nella Chiesa a meno di peccare contro il dovere della comprensione e del dialogo, nessuno osa più denunciare con vigore e con tenacia i veleni che stanno progressivamente intossicando il popolo di Dio.
(Giacomo Biffi, “La bella, la bestia e il cavaliere. Saggio di teologia inattuale”, Jaca Book, 1989, ISBN 88-16-30111-2, pagg. 20-21).
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